Roma, 10 gennaio- Sporcizia, ritardi, sovraffollamento. Questo è quello che devono affrontare i pendolari per recarsi al lavoro. Ogni mattina otto milioni di persone cercano un mezzo pubblico per recarsi al lavoro, dovendo aspettare in media mezz’ora per un autobus. Quando poi, dopo due o tre convogli metro strapieni, si riesce a salire, bisogna fare i conti mezzi sporchi e lenti. Questa è l’odissea che vivono ogni giorno i pendolari, mentre le Regioni si azzuffano fra loro e fanno a scarica barile sulle responsabilità, accusando Trenitalia. Da una parte ci sono i consigli regionali che in un triennio hanno tagliato sui trasporti pubblici 700 milioni. Dall’altra parte c’è Trenitalia che con fondi ridotti all’osso preferisce investire nei treni ad alta velocità, meno frequentati, ma più redditizi. Così i treni a lunga percorrenza e low cost sono praticamente spariti, per arrivare a Roma dall’Umbria bisogna intraprendere una traversata oceanica, che ricorda i viaggi di inizio novecento. Mentre invece tra Milano e Venezia sono completamente inesistenti i treni di seconda classe, però non si può non accennare al fatto che Cota ha almeno salvato la sua Novara dal ridimensionamento. In Emilia Romagna, in tre anni, sono scomparsi 17 mila convogli. Il paradosso è evidente, mentre la crisi conduce gli italiani ad allontanarsi dalle grandi metropoli e a lasciare in garage la propria auto, privilegiando il trasporto pubblico, quest’ultimo è sempre più degradato e mal funzionante.
di Elisa Bianchini