Roma, 12 marzo – In attesa del referendum del 16 marzo che potrebbe sancire l’annessione della Crimea alla Russia, il Parlamento locale si è già espresso in favore del distacco dall’Ucraina, cui al momento la regione appartiene: 78 su 81 i voti a favore della separazione politica del territorio da Kiev.
E se per Mosca si tratta di decisioni assolutamente legittime, diversa la visione della Francia, in prima linea nell’esporre il proprio dissenso. Il ministro per gli Affari Europei Thierry Repentin, in visita a Roma, allontana ogni paragone con azioni unilaterali avvenute ad esempio in Kosovo e Georgia. Critico anche lo svizzero Didier Burkhalter, presidente dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), che spiega come “nella sua forma attuale il referendum non è coerente con la Costituzione ucraina e deve essere considerato illegale”. Non si prevedono tuttavia missioni internazionali per verificare lo svolgimento delle operazioni di voto.
L’Unione Europea ed il G7 intanto minacciano sanzioni alla Russia in caso non cambi il suo atteggiamento verso la Crimea entro il fine settimana, come confermano i ministri degli esteri di Germania e Francia Frank-Walter Steinmeier e Laurent Fabius. In quanto “violazione della Carta dell’Onu” i Sette Grandi preannunciano reazioni “sia individuali che collettive”.
Da Rostov, in Russia, torna a parlare in conferenza stampa l’ex presidente ucraino Yanukovich, che ribadisce la legittimità della sua carica e del “comando dell’esercito”. Al contrario, non sarebbero da riconoscere valide le prossime elezioni politiche in Ucraina, dove Yanukovich punta a tornare “appena le circostanze me lo consentiranno”. E attacca le nuove autorità del Paese, accusandole di essere eredi del discusso eroe nazionale Bandera, collaborazionista con i nazisti e di essere “una banda di ultranazionalisti e neofascisti” desiderosi di “scatenare una guerra civile e dare le armi in mano ai militanti”. Silenzio totale invece sulla situazione scatenatasi in Crimea.