Roma, 17 marzo – La rete pubblica gestita dall’Arsial, che rifornisce di acqua la zona nord della Capitale, presentava valori di arsenico oltre il consentito già da dieci anni. A dichiarare la scomoda verità è stato Paolo Punturi, titolare del caseificio Santa Maria di Galeria, che afferma: “Le analisi dell’acqua hanno sempre rilevato valori di arsenico superiori ai venti microgrammi per litro. Per questo dieci anni fa siamo stati costretti a comprare un depuratore a nostre spese, altrimenti i prodotti non avrebbero potuto avere il bollino della Comunità europea”.
La cosa che sconcerta di più è che queste analisi sono sempre state sotto il controllo dell’Asl locale e regolarmente sono stati inviati degli ispettori per campionamenti e verifiche. Allora perché l’allarme è scattato solo nel giugno 2013?
Tutto è iniziato 2001, quando la Comunità Europea, conformandosi ai nuovi orientamento della comunità scientifica internazionale, ha diramato il DWD, il Drinking Water, in seguito al quale, i livelli di arsenico tollerabili nelle acque sono stati abbassati da cinquanta a dieci microgrammi su litro. L’arsenico, secondo gli studi dell’organizzazione mondiale della sanità, può provocare tumori alla pelle, ai polmoni, alla prostata, all’apparato riproduttivo oltre a gravi danni a livello neurologico e cardiovascolare. La normativa sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2003 ma con un paio di proroghe triennali si è arrivati al 2009. L’emergenza scatta nel 2011 dopo che, a seguito di una richiesta di deroga da parte dell’Italia, il tetto massimo per la nostra regione viene stabilito sui venti milligrammi per litro. Ma questo valore è sempre stato superato dall’acqua che scorreva negli acquedotti Arsial.