Il Governo da il via alle riforme costituzionali, con il consenso unanime del Consiglio dei Ministri che approva compatto il disegno di legge che trasformerà in Camera delle autonomie l’attuale Senato della Repubblica. L’eliminazione di Palazzo Madama è ed era infatti uno dei punti fondamentali del programma di governo portato avanti dal “Rottamatore” Renzi, si direbbe un “trend- topic” nell’ era della politica dei tweet: “Spero di essere l’ultimo Presidente del consiglio a chiedere la fiducia a quest’aula” aveva detto lo scorso febbraio in occasione del suo discorso in Transatlantico e pare che i suoi progetti stiano per diventare realtà.
Ma cosa sostituirà l’attuale disciplina costituzionale? Che cosa prevede il disegno di legge? Il testo benché ancora top secret è stato illustrato dallo stesso Matteo Renzi lo scorso 31 marzo con il solito metodo dello split screen ovvero tramite l’ausilio di slide esemplificative. Al centro del progetto di riforma vi sarebbero pertanto cinque punti fondamentali consistenti: nell’agognato superamento del bicameralismo perfetto, nella riduzione del numero dei parlamentati e dei costi di funzionamento, nella soppressione dello CNEL e nella revisione del Titolo V.
E’ sul bicameralismo che si srotolano i nodi focali della riforma costituzionale ed è da qui che si deve partire per cercare di tracciare una linea esplicativa della stessa. Innanzitutto la nuova Camera delle autonomie vedrà drasticamente ridotta la sua composizione, sia nel numero che nella fattispecie, si passerà infatti dagli attuali 315 senatori eletti direttamente dai cittadini ai futuri 148 membri di seconda elezione, selezionati tra rappresentanti delle istituzioni territoriali il cui mandato coinciderà con la durata degli organi istituzionali dalla quale sono stati incaricati.
Nello specifico i nuovi inquilini di Palazzo Madama si esprimeranno: nei presidenti delle giunte regionali e delle province di Trento e Bolzano, in due consiglieri regionali per ogni regione (eletti dal rispettivo consiglio regionale), in due sindaci per ogni regione (eletti da un’assemblea dei sindaci delle regioni) e nei sindaci delle città capoluogo di regione. Faranno eccezione solo 21 dei 148 nuovi arrivati il cui incarico avrà durata sette anni e la cui nomina per meriti artistici, sociali , letterari e scientifici sarà affidata al Presidente della Repubblica.
Le vere novità introdotte dal premier sono però sul procedimento legislativo cambiano o meglio diminuiscono radicalmente, le funzioni della nuova Camera lo stesso Renzi parla di “razionalizzazione”.
I senatori, pur mantenendo potere d’iniziativa legislativa, perdono ogni potere di controllo sull’azione di governo, sull’indirizzo dell’attività legislativa ordinaria nonché la possibilità di accordare la fiducia ad un nuovo esecutivo o di approvare il bilancio di spesa. Potranno quindi proporre una legge ma senza discuterla o votarla, la loro incidenza sarà limitata alla proposizione di emendamenti che comunque dovranno passare prima al vaglio dalla Camera dei deputati. Più ampio invece il margine del Senato su quegli ambiti di tipico interesse territoriale, in cui le modifiche proposte dai senatori potranno essere superate dalla Camera solo con deliberazione a maggioranza assoluta.
Per quanto riguarda il procedimento di revisione costituzionale nessuna modifica, ogni variazione del dettato della Carta continuerà ad essere sottoposta all’esame di entrambi i rami del parlamento così come invariate restano le funzioni non legislative del Transatlantico: dall’elezione del Presidente della Repubblica alla sua messa in stato d’accusa sino alla nomina di un terzo del Consiglio superiore della magistratura.
Altro aspetto di notevole impatto sull’opinione pubblica è la mancanza di indennità per i neo senatori e la previsione di un tetto massimo apposto agli emolumenti, il quale non dovrà superare l’importo di quelli spettanti ai sindaci dei comuni capoluogo di regione. Quindi stop netto ai compensi da capogiro per presidenti e membri dei micro governi regionali.
In ultimo, oltre all’abolizione dello CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), vi è la revisione anche del Titolo V, con due importanti novità: l’eliminazione delle competenze concorrenti tra Stato e Regione e l’introduzione di una “clausola di supremazia” della legge statale sulla legge regionali. Ciò significa che laddove vi erano ambiti di legiferazione comune Stato-Regioni, tali ambiti da domani non esisteranno più, mentre le regioni acquisiranno competenze a legiferare in materie appannaggio esclusivo dello Stato solo su delega di quest’ultimo. E’ la fine delle leggi cornice e dei conflitti di attribuzione.
La rivoluzione costituzionale di Matteo Renzi di certo non passa in sordina creando , com’era previsto, divisioni e dissensi anche all’interno del PD la cui tenuta vacilla ma di cui il Sindaco non si preoccupa: ” Se qualcuno vorrà assumersi la responsabilità di far fallire questo percorso lo farà, noi più che dire che su questo ci giochiamo tutto non possiamo fare”, un “Non expedit” quello del premier in risposta anche al Presidente della Camera Piero Grasso che proprio nei giorni antecedenti la presentazione in power point, aveva dichiarato: “Non si può cambiare la costituzione a colpi di fiducia [ …] abbiamo dei principi chi fa l’amministratore non fa il legislatore, chi fa il legislatore non fa attività giudiziaria, sono principi che dà sempre hanno ispirato la democrazia”. Polemiche anche a destra Brunetta sollecita la priorità della legge elettorale mentre Romani (FI) sull’approvazione della riforma prevede “Un Vietnam” in Transatlantico. Il Premier però non molla e con il solito aplomb continua a dichiararsi sereno: “Avevo letto delle dichiarazioni di Berlusconi , in cui Berlusconi diceva che avrebbe rispettato l’accordo sul senato non ho motivi per dubitarne[…] se Romani rimane all’impegno che ha preso Berlusconi non sarà un Vietnam, se Romani non rispetta l’accordo di Berlusconi è un problema che riguarda Romani e Berlusconi”.
La riforma per quanto innovativa presenta comunque retroscena poco chiari la critica, mossa principalmente contro quest’ultima, è quella di un eccessiva centralizzazione dei poteri statali ,unita ad un forte accrescimento dei poteri del Presidente del Consiglio e dell’esecutivo, basti pensare all’introduzione del voto a data certa su richiesta del Governo o alle conseguenze che una trasformazione così radicale e “razionalizzata” del Senato coadiuvata ad una legge elettorale fortemente maggioritaria comporterebbe a livello istituzionale. Il rischio è una snaturalizzazione della centralità del parlamento e del potere delle opposizioni, come anche il fatto che il monocameralismo andrebbe a sopprimere quello spatium delibarandi previsto dall’attuale iter legislativo, in grado di consentire oggi all’opinione pubblica di esprimere una riflessione o qualsivoglia un dissenso. Sappiamo benissimo con quanta certosina celerità il parlamento abbia approvato provvedimenti shock come il lodo Alfano, quindi la necessità di un’ottimizzazione dell’iter parlamentare, forse non giustifica una democrazia fast food. Per questo illustri costituzionalisti da Gustavo Zagrebesky a Stefano Rodotà hanno firmato una petizione contro la nuova riforma. la domanda sorge spontanea : Tutto questo, è davvero quello che vogliamo?
Roma, 3 aprile