Newsgo ha incontrato i due attori protagonisti de La Belva & La Bestia, Massimo Corvo e Annabella Calabrese, in scena al Teatro dell’Orologio dal 15 al 27 aprile, con la regia di Daniele Esposito.
Abbiamo scambiato con Massimo Corvo e Annabella Calabrese qualche domanda.
- Massimo, come è approdato alla scrittura di un testo teatrale? Più un’esigenza o una voglia di sperimentarsi?
Ho sempre scritto per me, da tanti anni. In teatro ho già scritto una commedia nel 2006, 2007, La Versione Silla, rappresentata al Brancaccino.
Questo, invece, è il frutto di una sorta di etichetta che mi è stata messa addosso, o che io, comunque, mi sono messo addosso quando ho doppiato la Bestia, (La Bella E La Bestia, film disney) nel 1993. E quindi mi sono soffermato sulla bestia che è in ognuno di noi, quella parte selvatica, senza freni, brutta, violenta, cattiva, che è una sorta di incantesimo che noi abbiamo dal giorno della creazione. La scelta tra il bene e il male, e siamo in eterno conflitto per scegliere una cosa o l’altra, considerando che noi abbiamo sia bene che male, e poi dipende da noi far prevalere o l’uno o l’altro, è la ricerca di questo equilibrio, la cosa più difficile. Ho scritto La Belva e La Bestia, per raccogliere, per ricordare tutte le difficoltà che si stanno trovando in questo periodo nel mondo: problemi sanitari, difficoltà ad essere accettati, diversità, separazioni tra genitori, figli che crescono da soli, gente che soffre in solitudine, gente che conta solo se ha la possibilità di pagare di poter uscire dal fango delle disgrazie con il portafogli pieno.
- Ho assistito al suo precedente spettacolo da attore, I Fannulloni, che è una simpaticissima e divertente commedia. Leggendo la sinossi di La Belva & La Bestia, che è decisamente un testo più impegnato, drammatico, con quali differenze si è approcciato ai due personaggi?
Il personaggio di Dino nei Fannulloni, era un qualcosa che non mi apparteneva, assolutamente, anzi è un impiegato, ed io ho fatto veramente di tutto nella vita per non diventare un impiegato, non che avessi qualcosa contro, ma per la mia indole, per la mia natura, chiudermi in un ufficio per otto o nove ore al giorno, per fare qualcosa che non mi piace, voleva dire essere imprigionato, chiudere con tutto quello che è la creatività, la libertà e la voglia di esprimersi con il nostro lavoro. Invece ritornando alla drammaticità di questo atto unico, è bastato tirare fuori tutto quello che è violento in ognuno di noi, e credo che nessuno mi può venire a raccontare che, almeno una volta nella vita, non ha avuto questo impulso, il desiderio di voler ammazzare una persona. È un lavoro più sulla psicologia di un individuo, su quello che ognuno di noi ha dentro. È uno spaccato di vita drammatico di questo uomo.
- Lei è uno stimato e famoso doppiatore, tra gli altri presta la sua voce ad attori del calibro di Sylvester Stallone, e anche come ha citato sopra, ai personaggi dei film della Disney, come La Bella e La Bestia, che differenze ci sono, se ci sono, tra il doppiaggio e il teatro?
Dopo che per un lungo periodo ho accantonato il teatro, mi sono dedicato completamente al doppiaggio proprio per conoscere questo ramo del nostro mestiere – perché il mestiere dell’attore comprende un po’ tutto, teatro, doppiaggio, dizione, recitazione, fiction, tv, radiodrammi, canto, ballo, dovrebbe esserci tutto – perciò, mi sono dedicato completamente al doppiaggio. Quando poi ho avuto l’occasione, dopo dieci anni di full immersion di doppiaggio, di riaffacciarmi al teatro, ho scoperto che una parte di me si era assopita. La sera, dopo 9 ore di doppiaggio, c’era una stanchezza che era solo psichica e mentale. I nervi a pezzi, insomma, ma qualcosa si era addormentato. Fare teatro mi ha riallineato le energie, perché lavora tutto, il fisico, la mente, il sentimento… Il doppiaggio è un servizio che si incolla a una persona che fa tutti i movimenti per te, tu dai la voce a lui e lui fa le sue cose. Questa è la differenza, si riallinea e si completa il lavoro di un attore.
Adesso passiamo ad Annabella.
- Nello spettacolo interpreti Chiara, qual è il lato di Chiara che senti più tuo e il lato che senti meno?
Il personaggio di Chiara è abbastanza distante da me, perché è una molto impegnata e presa dall’attività fisica, il mangiare sano, il tenersi in forma, e in questo modo accantona il lato emotivo/sentimentale della propria vita. È una di quelle persone che mette da parte le proprie emozioni per non soffrire. C’è però l’altra faccia della medaglia: Chiara si comporta così perché nella sua infanzia è stata molto sensibile ed ha assorbito come una spugna una serie di eventi drammatici che le sono capitati, reagendo in questa maniera. Diciamo che questa sensibilità, che poi nell’ambito dello spettacolo verrà fuori in un momento in cui si lascerà andare, lo sento anche molto vicino a me.
Quando mi approccio ad un personaggio io cerco sì qualcosa in me, ma prendo spunto dall’esterno, leggo, guardo film, osservo le persone per strada… Insomma, il personaggio di Chiara è un personaggio comune, si può trovare nella vita di tutti i giorni, forse proprio accanto a noi. Perché Viviamo in una società che spesso porta a farci reprimere le nostre emozioni per diventare appunto delle macchine: essere in forma, trovare il lavoro, comprare la macchina, l’iphone, etc… Macchine da lavoro.
- Sei un’artista a 360° quale ambito dello spettacolo ami di più, ovvero in quale ti senti di poter esprimere tutta la tua passione e creatività?
Mi piace un po’ tutto, ovviamente però la mia attività primaria è quella dell’attrice. Lo faccio da quando avevo 14 anni, è diventata parte di me. Il teatro ti da la possibilità di utilizzare corpo, cuore e mente a 360°. Ovviamente mi piacciono anche gli altri ambiti, cantare, ballare, sono anche regista e quindi mi piace anche dirigere gli altri attori, insegnare… Mi piace un po’ tutto, ecco, però fondamentalmente la mia passione principale, senza la quale non potrei sopravvivere, è proprio la recitazione. Ti da anche modo di sfogare le tensioni quotidiane, ed è un lavoro di fino. La recitazione ha della basi molto solide. E’ come un palazzo che dev’essere costruito, bisogna studiare attentamente le fondamenta prima di costruirlo passo dopo passo.
- Sappiamo che hai frequentato diversi stage a Londra, e sei per di più laureata alla Link Academy, puoi dirci cosa manca all’industria dello spettacolo italiana per arrivare a livelli di quello inglese?
(ride) Potremmo parlare per tre giorni di questo argomento! La mancanza più evidente dell’italia rispetto all’Inghilterra è, da un certo punto di vista, la professionalità. Nel senso che, come dicevamo prima nel paragone tra la recitazione e la costruzione di un palazzo, ci vogliono delle basi. Se un architetto deve costruire un palazzo, deve sapere esattamente come progettarlo, se un medico deve fare un’operazione chirurgica deve sapere esattamente come farla, non si sveglia la mattina dicendo “Oggi voglio fare il medico perché ho il talento”. No, il talento senz’altro è importante, anzi, indispensabile. Ma ci vuole uno studio approfondito sui dei principi del teatro, della recitazione ma anche del cinema, della storia, del doppiaggio… Spesso, per quanto riguarda soprattutto per quanto riguarda il cinema, ci facciamo abbagliare dai Talent. Persone che vengono da altri ambiti vengono inserite nello showbusiness italiano perché portano ascolti, e pubblico. E’ un discorso che per certi versi potrebbe anche funzionare – per la produzione il pubblico è indispensabile – ma è molto rischioso, perché quello che si tende a fare è sminuire la professionalità di quello che ha studiato per fare l’attore. A Londra esiste un sindacato dello spettacolo al quale per accedere devi avere determinati requisiti: una formazione, dei credits. In Italia non esiste una cosa del genere. Se una soubrette un giorno decide di fare l’attrice, in Italia le si spalancano le porte. E’ un peccato, perché d’altro canto, rispetto all’Inghilterra noi Italiani siamo degli istrioni, persone di cuore che mettono il 100% della loro anima in quello che fanno. Se noi riuscissimo a meccanizzare questo nostro “talento”, questo nostro avere il “cuore caldo”, potremmo addirittura surclassare l’industria cinematografica americana e inglese. Dovremmo avere un po’ più di coraggio. Soprattutto i produttori, nel cercare la qualità e non solamente il pubblico.
Ringraziamo Massimo e Annabella per la loro disponibilità e sperando di avervi ancora tra le pagine di Newsgo.
Roma, 14 aprile