Stefano Benni, nato a Bologna nel 1947, con La Grammatica di Dio, libro del 2007, ristampato per la sesta volta nel 2013, ci da un’ennesima prova delle sue infinite risorse creative: un cane troppo fedele che torna sempre come una condanna dal padrone che cerca, invano, di abbandonarlo, un mercante di bambini simile a un orco che cade intrappolato nello stesso meccanismo infernale al quale è asservito; un uomo dipendente dai telefonini che viene messo alla gogna dalla comunità degli utenti di cellulare e che alla fine si vendica della stessa; uno spirito che vive nel camino di una casa e che vede degenerare la qualità delle persone e della loro vita attraverso le generazioni; un frate che sposa il silenzio per sentirsi più prossimo a Dio ma che cede di fronte alla bellezza di una muta; una coppia allo sbando che, seduta a un tavolo di ristorante, sembra invece perfetta, un passeggero di aereo particolarmente ansioso che alla fine si rivela essere qualcosa di completamente inatteso sono solo alcuni dei protagonisti di questo carnevale escheriano, nel quale Benni mostra il lato più bizzarro, inaspettato e oscuro dell’esistenza umana, al fine di ricordarci che niente è mai come sembra e che ogni cosa contiene in sé, come nel tao, il suo contrario.
Ed è in questa chiave dicotomica che va interpretato anche il sottotitolo del libro: “storie di solitudine e di allegria”, quasi un ossimoro, che richiama le parole del filosofo greco Callistrato che, non a caso, introducono il libro: “Tra gli dèi che gli uomini inventarono, il più generoso è quello che unendo molte solitudini ne fa un giorno di allegria”. Benni, come il dio pagano della citazione, unisce molte solitudini, quelle dei personaggi dei suoi venticinque racconti, a volte virtuosi, altre malvagi, altre ancora grotteschi e cialtroni, ma sempre irrimediabilmente e tragicamente soli e ne fa un giorno di allegria: il giorno passato in compagnia di questo libro, ironico e disincantato, autentico bijoux della letteratura contemporanea.
Roma, 4 aprile