Le scene viste in Parlamento, oggi, per l’approvazione della riforma dell’articolo 416ter, che riguarda la fattispecie del reato di “voto di scambio”, dimostrano molta tensione su un tema caldo in Italia quale quello tra la collusione politica ed il potere mafioso. Una tema caldo sin dalla fondazione di questo Paese e prima ancora in epoca romana quando il reato era previsto da una lex Baebia e poi confermata da una Lex Tullia proposta da Cicerone.
Nel nostro codice, la fattispecie, in estrema sintesi, è la seguente: Tizio, mafioso, va da Caio, politico candidato, e offre voti in cambio di soldi o, secondo il testo attuale, “altre utilità”. Esercitando intimidazione o violenza. Il Movimento 5 Stelle contesta la riduzione delle pene che , nei fatti, la modifica della legge appena approvata, pone in essere.
Ma andiamo con ordine e leggiamo quanto associazioni da sempre in prima linea contro la mafia, come Libera, dichiarano a proposito della modifica di questo testo di legge. L’associazione LIBERA, attraverso il suo ufficio di presidenza dichiara che modifica del 416ter contiene una buona notizia e un errore da correggere: la buona notizia è l’inserimento, dopo un iter tormentato, delle due parole “altra utilità”, che colpiscono al cuore il voto di scambio politico mafioso, finora limitato all’erogazione di denaro. Secondo libera grazie a questa, apparentemente sottile, modifica si potrà colpire in maniera più vasto, un’ampio spettro di fattispecie che prima non erano penalmente rilevanti.
La pecca che perplime Libera, come anche il Movimento di Grillo, è quello della riduzione delle pene, che vanno inserite, invece, in un più generale inasprimento di tutti i reati di mafia, a partire dal 416 bis, oggi sanzionato con condanne inferiori a quelle previste per l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. In questo quadro, l’associazione di don Ciotti auspica un intervento rapido del quadro normativo nell’ottica di un inasprimento delle pene per i reati di mafia, nell’ottica di sanzioni più severe ed efficaci, nel rispetto del principio della proporzionalità della pena.
Dello stesso tenore le dichiarazioni di Nicola Grattieri magistrato, in forza alla DDA di Reggio Calabria,il maggiore conoscitore dei fenomeni ndranghetisti. Secondo Grattieri “l’indagato che finisce in carcere va a vedere subito il capo di imputazione. Se per il 416-ter si parla di una pena edittale di 8-10 anni, è molto bassa. Considerando la possibilità di essere giudicato con il rito abbreviato e la buona condotta, sarà fuori dopo 2-3 anni. Non è una linea che rende non conveniente delinquere“. Il magistrato comunque non boccia in toto la riforma: “E’ importante la modifica, che ha reso più vicina la legge alla realtà applicativa: prima prevedeva il semplice scambio ‘voti per soldi’, che era una pura ipotesi di scuola. Ma comunque ci aspettavamo di più, quanto meno sulle pene“.
Bocciano senza appello la riforma alcuni magistrati applicati alle Procure di Milano e Torino. Secondo dichiarazioni raccolte dal fattoquotidiano.it, costoro asseriscono che la legge rischia di essere inutile perché prevedrebbe l’applicazione solo in caso di utilizzo del “metodo mafioso”, vale a dire attraverso intimidazione o violenza. Una fattispecie sempre più rara nel paese in cui è il politico che ormai va a cercare il mafioso.
In parole povere, la perplessità dei magistrati, che bocciano complessivamente la riforma, rispetto all’esempio proposto in apertura di questo articolo, verte sul fatto che ormai non è più Tizio, mafioso, che offre a Caio, il politico candidato, voti in cambio di soldi. Le cronache giudiziarie dimostrano quanto siano proprio i politici che cerchino i mafiosi per vincere le elezioni in cambio di un quid che concordano preventivamente. Quindi escludendo a priori l’elemento del “metodo mafioso” che porterebbe all’inutilizzabilità della fattispecie riformata e delle sanzioni previste.