Secondo l’agenzia australiana che dallo scorso 8 marzo si sta occupando delle ricerche dell’aereo scomparso, i rottami del Boeing 777 non sarebbe finito nella vasta area di Oceano al largo dell’Australia, dove è stato cercato per settimane. Il “Joint Agency Coordination Center” di Canberra ha spiegato che il robot sommergibile Bluefin 21 della US Navy dopo aver scandagliato l’Oceano Indiano per 850 metri quadri di fondale marino non ha rilevato traccia del velivolo. Il mancato ritrovamento del jet appartenente alla compagnia Malaysia Airlines costringerà quindi a spostare le ricerche di almeno 56 chilometri. Le ricerche in questo caso, però, riprenderanno solo in agosto, grazie a uomini e mezzi che verranno ingaggiati da società private, come dichiarato dalla stessa agenzia.
Una fonte dell’Us Navy ha dichiarato che i quattro famosi “ping” (i segnali acustici) captati nelle acque dell’Australia ad aprile non appartenevano alla scatole nere del volo MH370 della Malaysia Airlines. Secondo Michael Dean, vice responsabile della divisione oceanografica, è probabile che i segnali potessero provenire da qualche nave se non addirittura dai mezzi utilizzati per la ricerca del relitto. le dichiarazioni dell’ufficiale, riportate anche dalla Cnn, sono state però corrette da un portavoce dell’Us Navy, che le ha definite “premature e basate su speculazioni”. Ma eventuali speculazioni a parte, le informazioni contrastanti non sono state di conforto per i familiari dei passeggeri ufficialmente dispersi. “Se i ping fossero stati trasmessi da una delle scatole nere, le avremmo dovute trovare”, ha ribadito però Dean, che ha aggiunto: “Anche esperti di altri Paesi la pensano come noi”. Il rischio di inseguire tracce sbagliate – è la difesa dei tecnici incaricati delle ricerche – esiste sempre, in particolare in situazioni come questa.
Le dichiarazioni di Dean, insomma, potrebbero restituire credibilità alla supposizione iniziale che il punto i cui sono state concentrate le ricerche dell’aereo scomparso non sia in realtà quello giusto; la possibilità che l’aereo sia finito in mare una volta esaurito il carburante potrebbe essere una teoria plausibile ma non l’unica, ecco perché le ricerche potrebbero spingersi ben oltre il quadrante in questione. Ulteriori analisi permetteranno di valutare come agire, contando sulle nuove informazioni ricavabili dai satelliti e dalle strumentazioni impiegate in questo tipo di disastri. Pechino, in particolare, in quanto buona parte delle vittime sono cinesi, spinge perché vengano utilizzati nuovi mezzi per le ricerche, e questo mentre i parenti delle vittime non possono far altro per aspettare.
Roma, 29 maggio