Doveva discutere solo la tesi di laurea davanti ai professori dell’Università di Tor Vergata, eppure il Tribunale di Sorveglianza di Roma gli ha negato il permesso temporaneo. La storia ha per protagonista uno detenuto-studente 56 enne, da più di 20 recluso nel carcere Rebibbia Nuovo Complesso, condannato al ”fine pena mai”. La vicenda è stata raccontata in una lettera del Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, inviata ad Alberto Bellet, presidente del tribunale.
L’uomo sarebbe stato il primo a laurearsi attraverso il progetto ”Teledidattica – Università in carcere”: esperienza di ”buona pratica” promossa dallo stesso ministero della Giustizia e partita nel 2006 in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata e che, ad oggi, coinvolge un totale di 107 detenuti-studenti iscritti alle università della Regione (otto anni fa erano solo 16).
”Non è mia consuetudine intervenire nel merito dei provvedimenti del Tribunale di Sorveglianza – spiega il Garante – Nel caso di specie ritengo la decisione assunta ingiusta, frutto di una interpretazione restrittiva di una norma dell’ordinamento penitenziario. Per questo ho ritenuto opportuno sottolineare l’accaduto, auspicando che il Tribunale possa mutare la propria giurisprudenza evitando rigidità interpretative che non contribuiscono in alcun modo alla tutela della sicurezza dei cittadini e finiscono per mortificare positive esperienze trattamentali”.
Una volta superati tutti gli esami, l’uomo aveva richiesto un permesso di necessità, in virtù dell’ex articolo 30 dell’ordinamento penitenziario. Ricevuta risposta negativa, il detenuto ha fatto ricorso, ma anche questo è stato rigettato il 30 aprile dal Tribunale di Sorveglianza con motivazione che ”l’articolo in questione prevede la concessione del permesso in caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente o in casi di eccezionale gravità”. Casistica all’interno della quale non ricade, secondo i giudici, la laurea. ‘
‘Una interpretazione – a detta del Garante – non uniformemente seguita dalla giurisprudenza. A Reggio Emilia, per esempio è stato concesso in passato ad un detenuto un permesso analogo. La concessione dello stesso è stata giustificata “in quanto si trattava di un evento teso a valorizzare l’individualità del detenuto e il suo percorso trattamentale”. La decisione del tribunale di Sorveglianza di Roma, invece, di fatto vanifica gli sforzi del 56 enne,vanificandone il percorso di studio in questione intrapreso durante la permanenza in carcere.
“Lo studio, infatti – ha riferito il Garante – è divenuto strumento di riscatto sociale e un’importante occasione per dimostrare a sé stesso e agli altri che nella vita è possibile ottenere successi anche senza ricorrere al reato. Impedire al detenuto di discutere la tesi fruendo di poche ore di permesso è una decisione eccessivamente punitiva, che non può trovare giustificazione in nessuna esigenza di sicurezza”.
Roma, 25 maggio