Caos nel Pd nella giornata di ieri dopo l’autosospensione da parte di 14 senatori perché “solidali con i colleghi depurati”. Di contro, dura è arrivata la risposta di Matteo Renzi che sulla vicenda ha commentato: “Non lascio il Paese a Mineo”. Uno scontro che si è acceso in seguito all’allontanamento del senatore Chiti dalla commissione Affari Costituzionali, con un gruppo di dieci e più senatori democratici che hanno denunciato come sia stato violato l’articolo 67 della Carta. La controrisposta del premier, però, non si è fatta attendere: “Il partito non è un taxi che si prende soltanto per farsi eleggere”.
La sostituzione di Corradino Mineo in Commissione Affari costituzionali del Senato non è piaciuta a molti democratici, 13 senatori della minoranza che stamattina nell’Aula di Palazzo Madama hanno annunciato l’autosospensione dal gruppo, minacciando di non votare le riforme annunciate, mettendo a rischio la solidità della maggioranza in Senato. Ma il Governo non ha intenzione di cedere e tira dritto. Matteo Renzi intende far pronunciare sabato l’Assemblea nazionale del partito, dove almeno il 68% dei delegati fa capo a lui e quindi stando ai numeri dovrebbe appoggiare la decisione sull’allontanamento di Chiti.
Stamani, annunciando in aula l’autosospensione dal gruppo propria e degli altri colleghi, Paolo Corsini ha parlato di “epurazione” di Mineo, per la sua esclusione dalla commissione decisa mercoledì dal capogruppo Luigi Zanda. Secondo Corsini e Felice Casson è stata violata la Costituzione che esclude il cosiddetto vincolo di mandato e assicura la libertà di coscienza ai parlamentari. Tesi respinta da Zanda e dal ministro Maria Elena Boschi che ha ricordato i principi del diritto parlamentare: “Chi viene eletto in Parlamento, non viene eletto in una Commissione; è il gruppo che sceglie chi rappresenterà le proprie posizioni in Commissione ed è il gruppo a decidere la sostituzione del senatore che non rappresenta più le posizioni del gruppo”. Poi in Aula il senatore è libero di votare come crede. “I cittadini italiani vogliono le riforme – ha detto la Boschi – e lo dimostra il 40,1% preso alle europee; non ci faremo fermare dai veti di 13 senatori”.
Ai 13 dissidenti, Corsini, Casson e Mineo, anche Chiti, D’Adda, Dirindin, Gatti, Giudice, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, Turano, si è aggiunta questa mattina la defezione di Francesco Giacobbe, in Australia. Prevista per martedì l’Assemblea del gruppo, la sesta, dopo che nelle precedenti il gruppo del Pd si era sempre espresso favorevolmente sul testo del Governo. Zanda, nel frattempo, ha chiesto di poter effettuare un incontro preliminare prima dell’Assemblea, ma sulla possibilità che ciò avvenga sono in pochi a scommetterci. Di sicuro, Mineo non verrà reintegrato in Commissione. Sicuramente la questione sui dissidenti costringerà il Pd a rivedere il suo rapporto di forza nell’incontro con i vertici di Forza Italia. E in virtù del possibile cambio di forze in gioco, il portavoce di di Berlusconi, Giovanni Toti, ha colto la palla al alzo alzando la posta in palio, tirando indirettamente in ballo i 14 democratici dicendo: “progetto davvero concordato”.
E’ invece di questa mattina l’incontro tra Giorgio Napolitano e il ministro Boschi, che, Interpellata sulle possibilità di un riavvicinamento, questi ha ribadito che il problema è dei 14: “Nessuno gli ha chiesto di autosospendersi”. Mentre sarà il renziano Andrea Marcucci ad aprire le danze dell’Assemblea nazionale di sabato: ai 1.000 delegati che rappresentano la base del Pd verrà chiesto di pronunciarsi. E visto che l’Assemblea riflette i risultati delle primarie, dove Renzi ottenne il 68%. i 14 rischiano di rimanere scottati, se non bruciati “Sulle riforme non lasciamo il diritto di veto a nessuno – ha detto Renzi dalla Cina – anche perché non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo”.
Roma, 13 giugno