Roma, 29 luglio 2014 – Follia all’ufficio immigrazione di Roma. Un cittadina montenegrina malata di tubercolosi, si è recata in questura per chiedere un permesso di soggiorno, dopo che questa era stata dimessa dall’ospedale Forlanini. La donna, che vive in una baracca, ha passato mezzo pomeriggio girovagando presso l’ufficio dell’Immigrazione della Questura di Tor Sapienza con altri 85 stranieri, di fatto mettendo a rischio la salute di tutti i presenti, colpa la tbc.
“Nell’ufficio non è scoppiato il panico solo grazie alla professionalità dei colleghi“, ha dichiarato Assuntino Macchia, componente del direttivo provinciale del Siulp nonché fra gli agenti trovatosi a gestire una situazione pericolosa quanto allo stesso tempo assurda. Il faccia a faccia con la donna, hanno riferito in molti, non è stato piacevole, proprio perché la donna sarebbe dovuta essere sotto osservazione al San Camillo Forlanini e non in un commissariato di polizia vista la pericolosità di contagio. Ed invece, la donna si è recata in via Cutini, proprio per richiedere all’ufficio competente un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
L’allarme Tbc è scattato alle 14 – La donna malata di tbc è risultata essere residente presso un campo nomadi della Capitale. Ricoverata presso l’ospedale Forlanini il 24 luglio nel reparto Malattie infettive, era stata dimessa con l’obbligo dell’”isolamento respiratorio domiciliare”, una prescrizione che si applica nei casi ad alto rischio. L’isolamento respiratorio domiciliare”, in base alla direttiva dello stesso ospedale in cui la donna era ricoverata prevede, inftti che il piaziente debba: “Dormire e mangiare in una camera separata dal resto della casa da una porta chiusa; l’utilizzo obbligatorio della mascherina; l’areazione del bagno dopo l’uso e il divieto assoluto di uscire da casa se non per controlli clinici”.
La rabbia di Macchia – “Come è possibile – chiede il rappresentante del Siulp – che un ospedale dimetta una persona malata di Tbc con l’obbligo dell’isolamento respiratorio domiciliare, sapendo di trovarsi di fronti a una nomade residente in un campo nomadi? Non sanno i medici che nella maggior parte dei campi non ci sono case ma baracche? Non sanno che nelle baracche non ci sono né stanze né porte? Sanno lì al Forlanini che nei campi nomadi ci sono bagni chimici e non stanze da bagno? La signora – hanno riferito anche altri agenti – si è presentata in via Cutini con una mascherina non idonea e ha atteso in sala insieme ad altre 85 persone, tra cui c’erano dei bambini. Una sala che riusciva a malapena a contenere quelle persone. Poi, quando è arrivato il suo turno, davanti allo sportello si è tolta la mascherina per parlare con i nostri operatori. Solo allora, alla domanda del perché portasse la mascherina, abbiamo saputo che era affetta da Tbc“.
La chiamata alla Asl – Vista l’emergenza, agli agenti, terrorizzati che il contagio potesse diffondersi non hanno potuto far altro che chiamare la locale Asl, la Roma B. L’azienda ha risposto attraverso un fax chiedendo da quante tempo la donna fosse all’interno degli uffici insieme agli altri profughi. “La trasmissione del germe patogeno – riportava il fax racconta Macchia – è possibile solo dopo una o due ore di vicinanza tra soggetti. Noi però non sapevamo da quanto tempo la donna fosse nella sala d’attesa. Ne l fax l’Asl ci chiedeva anche di inviare immediatamente l’elenco delle persone che erano state a contatto con lei. Anche questo non era possibile saperlo. Alcuni aveva sbrigato le pratiche ed erano già andati via“. Allontanamento della donna Vista la risposta ricevuta, agli agenti dell’Ufficio Immigrazione non è restato che chiamare il 118, indossare le mascherine ed allontanare la donna.
Impotenti – “In casi come questi – spiega ancora Macchia – non sappiamo agire. Sappiamo solo che bisogna mantenere la calma. Non esiste un protocollo su come bisogna comportarsi in questi casi. Abbiamo mascherine inutili, come quella che indossava la donna con la Tbc. Il personale del 118 ci ha detto che avere o non avere questo tipo di mascherine è la stessa cosa. Qui non abbiamo neanche il disinfettante. Un collega è dovuto andare al supermercato a comprare uno di quelli che si usano per pulire i bagni. L’unica cosa che ci hanno detto dal Viminale è stato di fare un elenco degli agenti entrati in contatto con la donna. Ma si rendono conto, ai piani alti, di quante persone passano ogni giorno nel più grande ufficio per l’immigrazione d’Italia? Quanti potenziali malati? E si risparmia pure sulle donne delle pultizie. Qui puliscono un giorno sì e l’altro no!”
Una giornata che poi si è conclusa con gli agenti costretti a recarsi al policlinico Umberto I per sottoporsi alla normale profilassi contro la tbc. Questo mentre la donna era già scappata di nuovo, facendo perdere le sue tracce.