Roma, 25 settembre 2014 – I 10 cibi più contaminati che finiscono quotidianamente nelle nostre tavole sono il tema principale del dossier “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”, stilato dalla Coldiretti.
Al vertice dei 10 cibi più contaminati troviamo il peperoncino del Vietnam, usato per preparare sughi tipici della nostra tradizione e per condire piatti. L’Italia ha importato ben 273.800 chilogrammi di questo prodotto e il 61,5% dei campioni è risultato irregolare, con una presenza in eccesso di hexaconazolo, difenoconazoo e carbendazim, tutti elementi vietati in Italia sul peperoncino. Tutto senza alcuna informazione per i consumatori.
Il dossier è stato elaborato sulla base delle analisi condotte dall’Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) e la Coldiretti ne ha discusso a Napoli, dove sono arrivati circa diecimila coltivatori.
“Un pericolo legato al fatto che, sotto la pressione della crisi, aumenta il commercio di surrogati, sottoprodotti e aromi artificiali oltre che di alimenti a basso costo ma a rischio elevato, come dimostra il fatto che le importazioni agroalimentari in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di euro nel 2013 con un aumento del 20% rispetto all’inizio della crisi nel 2007”.
Ma in tema di sicurezza alimentare quello del peperoncino non è affatto un caso isolato ed ecco che nel ricco menu dei 10 cibi più contaminati troviamo anche le lenticchie importate dalla Turchia, che nel 2013 hanno registrato un’importazione di 1,6 milioni, di cui il 24,3% irregolari a causa dei residui chimici in eccesso.
Spezie e legumi non completano la lista allarmante degli alimenti più contaminati. Troviamo infatti anche la frutta: secondo i dati Efsa il 19% dei campioni di arance importate dall’Uruguay presentano una quantità di pesticidi come imazalil, fenthion e ortofenilfenolo, tutti vietati in Italia. Ma fa sorridere, amaramente in questo caso, pensare che importiamo arance dall’Uruguay, che per di più risultano contaminate, quando quelle prodotte in casa nostra, in Sicilia, marciscono perché non utilizzate.
Ad arricchire la lista dei 10 cibi più contaminati troviamo le foglie di the provenienti dalla Cina con il 15,1% di irregolarità, il riso indiano, di cui il 12,9% è irregolare, i fagioli del Kenya con il 10,8% di irregolarità, le melagrane della Turchia, per un totale del 40,5% di irregolarità, i fichi brasiliani con il 30,4% di irregolarità, l’ananas del Ghana con il 15,6% di irregolarità e i cachi israeliani con il 10,7% di irregolarità.
Nella lista degli alimenti più contaminati la Coldiretti ha inserito anche quelli del secondo dossier “Lavorare e vivere green in Italia”, che fa riferimento a tutti i prodotti che arrivano sulle nostre tavole dopo lunghi viaggi. In questo caso il problema è dato dal conseguente consumo di petrolio e dalle emissioni di gas serra.
Roberto Monclavo, presidente della Coldiretti, ha affermato: “E’ stato calcolato che un chilo di ciliegie dal Cile per giungere sulle tavole italiane deve percorrere quasi 12mila chilometri con un consumo di 6,9 chili di petrolio e l’emissione di 21,6 chili di anidride carbonica, mentre un chilo di mirtilli dall’Argentina deve volare per più di 11mila chilometri, con un consumo di 6,4 kg di petrolio che liberano 20,1 chili di anidride carbonica e gli asparagi dal Perù viaggiano per oltre 10mila km, bruciando 6,3 chili di petrolio e liberando 19,5 chili di anidride carbonica per ogni chilo di prodotto”.
Secondo l’Efsa l’Italia vanta alti livelli di sicurezza in campo agroalimentare, soprattutto grazie alla grande produzione del Made in Italy, con risultati inferiori di nove volte rispetto a quelli europei e ben 32 volte rispetto a quelli extracomunitari. I dati però allarmano perché l’importazione di alcuni prodotti risulta in aumento anche nel 2014.
Per questo Monclavo ha sottolineato che le frodi in Italia sono aumentate del 248% dall’inizio della crisi e ha proseguito affermando che “in un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e lo stop al segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero è un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”.
Va detto, infatti, che la mancata trasparenza dei flussi commerciali delle materie prima importate dall’estero e delle aziende che le utilizzano, si riflette anche sulle pubblicità, che hanno il compito di attrarre il consumatore (in questo caso traggono in inganno non dando informazioni complete).
Di fondamentale importanza diventa il controllo della filiera dei prodotti acquistati, una necessità volta alla prevenzione delle salute e alla qualità degli alimenti che mettiamo a tavola.