Morto Michele Ferrero, il papà della Nutella. Aveva ben 89 anni, alle spalle un lungo ed intenso cammino di lavoro, deceduto nella giornata di ieri, 14 febbraio, durante il pomeriggio a Monaco, a seguito di una malattia che si trascinava da tempo. Si tratta del padre, dal dialetto piemontese, che ha messo in piedi una delle più grandi e note multinazionali di dolci conosciute in tutto il mondo, dopo quella della Nestlè, dal grande successo globale. Assistito con amore fino all’ultimo respiro, dalla fedele moglie Maria Franca e dal figlio minore rimasto, Giovanni. Nato nella città di Dogliani, il giorno 25 aprile dell’anno 1925. La sua carriera aziendale ebbe i suoi primi albori nel 1946, come venditore del “Giandujot” ideato da suo padre Pietro. Con la Supercrema, la pasta antesignana della Nutella, nel 1950 ha creato il primo di una numerosa serie di prodotti di gran successo, che vanno dal Rocher all’ovetto Kinder, dal Tic Tac al Mon Chéri. Nel 1957, all’età di 32 anni, Michele Ferrero si trovò ad assumere il ruolo di direttore di questa grande azienda. Agli sgoccioli dei fine anni Settanta, provvide a mandare i due figli, Pietro e Giovanni, a studiare nella città di Bruxelles. Poco dopo ritorneranno, pronti ad accedere e sostenere l’attività del padre, che installò vari stabilimenti in Italia e nel Mondo. Ferrero divenuto, nell’arco del suo operato, uno dei più ricchi uomini di Italia, senza mai trovarsi sotto i riflettori e in balia di interviste sui giornali, per il suo animo modesto e atteggiamento discreto. Tanto che è stato immortalato in pochissime foto pubblicate, praticamente rare, di quando aveva ancora un aspetto giovane, nonostante avesse più di 70 anni. Dalla personalità particolare, cambiava spesso i suoi manager, dei quali diffidava nella sua campagna pubblicitaria e produttiva, dedito alla lavorazione di ottima qualità del suo prodotto, ovvero la Nutella, assumeva soltanto personale appartenente alle categorie di chimici e di venditori; sceglieva accuratamente i migliori, senza neanche analizzare i curriculum che gli presentavano ma gli bastava un’attenta occhiata per fornire un giudizio, espresso rigorosamente in dialetto, attraverso il vetro offuscato del suo ufficio. Infatti, per denotare un individuo ordinario ma caratterizzato da scarsa creatività, era solito dire: “Chiel lì è mac bun a fé le comisiun“, ovvero “quello è capace soltanto di fare buone commissioni e di eseguire il compito che gli è stato affidato“. Quando invece davanti scovava una personalità singolare ma non pienamente affidabile, lo riteneva un’artista, mentre chi si presentava come dissoluto, ovvero dove la sfrenatezza prevaricava sulla genialità della persona, era solito affermare: “chiel lì bat i querc“, per l’esattezza “quello li batte i coperchi“. Una sorta di “perle di saggezza” comunicate con uno sguardo attento e con particolarità di espressioni. Ferrero era anche un ragioniere diffidente delle lauree honoris causa, in quanto più importante era avere il buon senso, bastava quello. Nella vita privata, invece, si presentava ancora più esigente, infatti diceva: “Mi raccomando, pochi laureati” perché “pì a studiu, pì ven stupid“, cioè più studiano e più diventano stupidi, dunque rifiutava menti plasmate e schematiche, alla ricerca costante dell’originalità, della genialità e della passione di un lavoratore. Passato come un dirigente talvolta enigmatico, se non leggendario, per le sue scelte insolite, tra le quali organizzare riunioni lavorative sempre nelle giornate domenicali. Era solito trascorrere intense notti a lavoro, tra i camici bianchi dei laboratori chimici, a fianco dei più grandi e affidati collaboratori, dediti all’assaggio della produzione di cioccolato, tentando ogni volta di apportare più di una decina di varianti nella struttura del prodotto Nutella, produzione segreta e strettamente riservata quanto il Sacro Graal, nonché dediti alla ricerca di nuovi prodotti, dai Rocher al Grand Soleil. Affermava spesso: “Ricordatevi: ca piasa a madama Valeria“, ovvero “Ricordatevi: che piaccia alla signora Valeria“, rappresentante il vero simbolo della casalinga media, dall’affidabile gusto. Infatti, proseguiva nel dire ai suoi dipendenti: “Ca lu fasa tasté a sua fumna“, cioè “Lo faccia assaggiare a sua moglie“, offrendo spesso un pacchettino di cioccolato, anche di altri prodotti, dalle differenti varianti, proprio perché il palato delle signore sarebbe stato decisivo nella scelta del miglior gusto proposto e creato. Michele Ferrero era sposato con la sua segretaria, Maria Franca e da quanto era divenuto quasi cieco, negli ultimi anni dei suoi trascorsi di vita, a causa di un malore che colpì i suoi occhi, si mostrava in pubblico, fedelmente sotto il braccio di sua moglie. Uomo pieno di risorse e generoso, nonostante la sua severità, era molto amato e stimato dai suoi lavoratori e dagli stessi albesi. Era solito infilare all’interno del taschino della sua giacca, i suoi sinceri e personali apprezzamenti, poi distribuiti di persona agli individui interessati, grato dell’operato dei dipendenti e di coloro che lo sostenevano nella sua grandiosa attività di produzione. Uomo disinteressato degli avvenimenti politici circostanti, si definiva un socialista, ma di quell’idea di socialismo, lui stesso era ideatore e realizzatore. Dedito anche ad operazioni legate agli ambiti umanitari, creò un welfare aziendale che abbracciava ogni aspetto, da quello sanitario a quello del dopolavoro. Si ricordano, a tal proposito, l’inno delle gite aziendali dei pensionati: “nui suma ansian, ansian d’la Ferero“, anche le esibizioni nel cantare la musica di “Marina” aggiungendo: “Dima grasie a monsu Michele“, ovvero “Ringraziamo il signor Michele“. Ciò che i sindacati giudicavano fenomeno di paternalismo, per Ferrero si trattava di un fenomeno volto ad arginare ed evitare eventuali conflitti, talvolta spinti da interessi. Tanto che se le fabbriche industriali delle maggiori città italiane erano solite assumere agricoltori cattolici, rendendoli operai comunisti, il Signor Ferrero ordinava di andare a prendere i contadini dell’Alta Langa, trasportati al bordo di pullman, per accompagnarli nella sua fabbrica, riportandoli a fine giornata al podere, dove erano stati presi. Sfruttava il lavoro nei campi nella stagione estiva e quello di fabbrica, durante la stagione invernale, così da evitare un fenomeno di spopolamento delle colline e delle campagne, nonché nel riispetto ambientale, fornendo così grande ricchezza nelle terre della Malora Fenogliana. Terrorizzato dal Fisco italiano e dai seguenti sequestri di persona, trascinò la sua famiglia prima nella città di Bruxelles, dove subì un processo con l’accusa di esportazione di capitali, in seguito venne assolto, trasferendosi dunque a Montecarlo. Era il momento nel quale Michele Ferrero abbandonò la carica di amministratore delegato, fondando nella città di Montecarlo un’altra società del Gruppo Ferrero, chiamata Soremartec. Dal giugno 1997 subentrarono alla guida dell’azienda, ufficialmente i figli Pietro e Giovanni Ferrero, che divenirono veri e propri Chief Executive Officer. Negli ultimi anni della sua intensa vita, si divideva tra le sue abitazioni, una la casa di Cap Ferrat, l’altra di Altavilla, in Costa Azzurra, presso la collina che domina la città di Alba. Michele Ferrero seguì le orme del padre e dello zio, grandi lavoratori anche loro, nonché fondatori di questa immensa Multinazionale dolciaria, rispettivamente chiamati Pietro e Giovanni; in onore di questi grandi personaggi, chiamò i suoi figli Pietro e Giovanni, ai quali al primo affidò la produzione, al secondo, invece, le attività di vendita. Figli che alimentava con grande amore, tanto da battezzare la barca di famiglia col nome “Papos“, si tratta del simpatico e affettuoso nomignolo affidato a Ferrero, dalla sua prole, quando era ancora in tenera età. Sottoponeva divertito i propri figli ad una sorte di “prove iniziatiche”: ad esempio, la domenica portava quello più grande, Pietro, nella fabbrica situata lungo la riva del Tanaro, uno dei fiumi più lunghi d’Italia, dove lo invitava a chiudere gli occhi e scherzosamente spariva. Il piccolo bambino, che sottostava al gioco, doveva cercare di trovare l’uscita da solo, affidandosi ai sensi dell’orientamento e dell’olfatto, proprio perché l’intera città e il quartiere erano inondati di un piacevole e dolce profumo di cioccolato, trasportato dal vento, a prescindere della sua rotta. Nel 1994, però, il Fiume Tanaro inondò la fabbrica. La famiglia con lo stesso Ferrero però, non si perse d’animo, si imboccarono le mani tutti quanti, armati di stivaloni da pioggia e pala, iniziando a spalare, sotto lo stupido e stimato sguardo di Berlusconi, giunto sul luogo a bordo di un elicottero, il quale era amico e generoso inserzionista. Infatti, il denominato Cavaliere lo supportò nella lotta per la Sme e non nella competizione nel campo di battaglia. Ferrero detestò anche l’argomento prettamente economico, come quello politico d’altronde, da evitare la tematica riguardante la Borsa. I suoi capitali furono investiti presso la Mediobanca. Invece, era una persona parecchio dedita alla religione, così appassionata che sparse all’ingresso, in ognuno dei suoi venti stabilimenti industriali del mondo, colonne rappresentanti la Madonna di Lourdes, presso i quali organizzava dei veri e propri pellegrinaggi. Una delle ultime volte che Ferrero si è presentato in pubblico è stata in occasione del funerale del figlio Pietro, tenutesi alla Cattedrale di Alba, a seguito della morte causata da un infarto nel continente del Sud Africa, nel mese di aprile dell’anno 2011, mentre passeggiava in bicicletta. In quel momento cupo della sua vita, continuava a ripetere a tutti, lavoratori compresi: “Che disgrassia“, ovvero “Che disgrazia“. Nelle varie cerimonie disposte, si limitava nell’articolare i suoi discorsi, caratterizzati da due semplici parole: “Tanti auguri“. Sorprendentemente, in occasione delle festività del Natale, nell’anno 2013, decise di narrare il racconto dell’inizio della sua attività produttiva, introducendo tale discorso: “La prima volta che entrai in una panetteria – pasticceria per vendere la crema alle nocciole che faceva mio padre, il negoziante mi chiese brusco: “Cosa vuole?”. Non ebbi il coraggio di offrirgli il prodotto. Comprai due biove di pane e uscii. Andò così in altri due negozi. Nel quarto lasciai la merce in conto vendita. Tornai il giorno dopo: l’avevano venduta tutta“. Ferrero concluse il suo preambolo con una sorta di testamento, affermando, rivolto a tutti gli invitati, di poter esser orgoglioso e pienamente fiero della storia della multinazionale e di tutto ciò che era stato realizzato con impegno, passione e pazienza. Aggiungendo, di avere un debito con questa grande terra, che ha reso possibile la creazione del tutto, motivo per il quale la fabbrica Nutella doveva rimanere proprio presso quelle terre. Così, ci lascia il padre della Nutella, Michele Ferrero.
di Erika Lo Magro
15 febbraio 2015