Intasa le nostre caselle di posta elettronica e mette a rischio la privacy: stiamo parlando dello spam, il termine usato per indicare email pubblicitarie inviate senza autorizzazioni ai nostri indirizzi, una minaccia contro cui diventerà più difficile difendersi. In base a una recente sentenza del Tribunale di Perugia, infatti, per chiedere il risarcimento al giudice bisogna dimostrare il danno subito, il quale non può essere solamente una perdita di tempo, la violazione della privacy o del trattamento dei dati personali.
Il risarcimento, inoltre, può non esserci anche se si dimostra che è stata sprecata parecchia connessione internet a causa delle email indesiderate. Quale danno viene risarcito allora? Secondo la sentenza, è necessaria una “prova rigorosa”, una definizione forse troppo vaga. In effetti, questo aggettivo indica un pregiudizio che può essere valutato dal punto di vista economico e legato a un illecito certo.
In questa maniera, però, non si tiene conto del tempo perso per cancellare i messaggi pubblicitari, spesso uno spreco economico per le aziende. Tra l’altro, anche la Cassazione si era espressa in modo simile qualche tempo fa, giudicando “un fastidio” i minuti persi per eliminare lo spam.