Il 21 agosto 1911 Vincenzo Peruggia, un decoratore, rubò la Gioconda dal Louvre. Il furto avvenne nel giorno di chiusura del museo, intorno alle 7 di mattina. L’uomo si introdusse al suo interno attraverso la porta utilizzata spesso dagli operai, la Jean Goujon, e riuscì ad avvicinarsi al quadro senza che nessuno di accorgesse della sua presenza. Avendo visto le operazioni svolte per porre la Gioconda nella teca e conoscendo le abitudine del personale, Peruggia si mise in azione nel momento più favorevole. Si diresse verso il Salon Carré e si appropriò dell’oggetto tanto voluto. Uscì avvolgendo il quadro nella sua giacca e prese il taxi per farsi portare a casa e lasciare l’opera al sicuro. Ormai il colpo era andato a buon fine e nessuno l’aveva notato.
Il personale, infatti, dapprima pensò che la Gioconda l’avesse presa il fotografo ufficiale, ma una volta capito di aver sbagliato fu avvisata la polizia, che non poté nulla. Furono bloccate le uscite, setacciate le stanze del Louvre e perquisiti i visitatori, ma le forze dell’ordine ritrovarono solo la cornice e il vetro e capirono, grazie alla porta forzata, che il ladro ormai era fuggito. Si arrivò a chiedere aiuto ai cittadini, offrendo una ricompensa di 25mila franchi a chiunque avesse fornito informazioni utili al caso e un impiegato disse di aver visto un uomo gettare un oggetto in un fossato vicino alla strada. Si trattava del pomello rimosso da Peruggia per darsi alla fuga.
I francesi pensarono che a compiere il furto fosse stato un collezionista statunitense e che questo avrebbe riconsegnato al museo una copia, poi arrestarono Apollinaire e Picasso, ma i due dimostrarono di non avere nulla a che fare con quanto avvenuto. A quel punto la polizia interrogò tutto il personale assunto anche per brevi periodi e tra questi c’era proprio l’autore del furto della Gioconda, che però riuscì a non farsi scoprire durante l’ispezione perché aveva nascosto il dipinto.
Nel frattempo Peruggia riuscì a mettersi in contatto con Alfredo Geri, un collezionista di Firenze, al quale propose di comprare la Gioconda, ma a patto che restasse in Italia. A quel punto Geri contattò Giovanni Poggi, il direttore degli Uffizi, e con lui decise di presentarsi all’incontro. Esaminarono il quadro, ma il decoratore fu arrestato e in breve sottoposto a processo. Peruggia affermò di aver rubato l’opera perché voleva ridare all’Italia uno dei quadri persi durante i saccheggi di Napoleone, senza però volerne uno specifico. Il suo però era uno di quelli portati in Francia ben prima.
Nel 1914 il decoratore fu sottoposto a processo a Firenze e il popolo pressò affinché fosse stabilità l’infermità mentale. Gli furono concesse delle attenuanti a la condanna fu di un anno e 15 giorni di reclusione, che già il 29 luglio si ridussero a sette mesi e otto giorni. Emessa la sentenza Peruggia fu scarcerato.
La Francia concordò un periodo di esposizione della Gioconda in Italia e poi si preparò ad accogliere nuovamente l’opera e in via definitiva.