Alberto Sordi, “Finché c’è guerra, c’è speranza” – Video. Una magistrale interpretazione dell’attore romano datata 1974, in cui impersona un mercante di armi
La guerra si fa con le armi, le armi costano parecchi soldi. Queste stesse armi qualcuno le fabbrica e le vende a chi ne ha bisogno. In base a quanto scrive outsidernews.it, il mercato generato dagli strumenti di morte muove circa 100 miliardi di dollari. Tutti possono produrre armi in linea di massima e ogni stato, fatto salvo decisioni di politica internazionale legate a possibili embarghi, possono armarsi o costruirne. Non solo, alcuni paesi spesso collaborano, progettano insieme alcune di queste armi, per poi venderle ad altri paesi, come è successo ultimamente con gli F35 di cui si è tanto discusso, perché a conti fatti, l’Italia non è uno stato belligerante, non si prodiga in guerre. Ciò nonostante, la nostra economia beneficia di un mercato che non sembra conoscere crisi. Una volta, su un libro di cui non ricordo ahimè il nome, ho letto che un bravo investitore, se proprio vuole spendere qualche euro, dovrebbe farlo acquistando quote di società che producono armi, oppure alcol/tabacco.
In questa magistrale interpretazione, Alberto Sordi è un mercante di armi, che grazie alla guerra vive e fa vivere la propria famiglia nel lusso. Nessuno si domanda da dove arrivino i soldi, a cosa è dovuta tanta ricchezza e questo finché i giornali non smascherano il protagonista, Il Cobra, uomo capace di piazzare “70 mila mitragliatrici”.
“Finché c’è guerra, c’è speranza” offre una sintesi perfetta sull’importanza del consumismo trasversale legato alle guerre, e come questo spesso sia fuori controllo al confine di certi paesi senza regole di ingaggio per le armi. E’ in queste zone d’ombra, infatti, che si armano i conflitti. Dove le risorse sono ingenti, dove la ricchezza prolifera, ecco che la morte attecchisce, magari in nome di questo o quel dio come accaduto nel film per Pietro Chiocca, alias Alberto Sordi. Dei minori, in realtà, perché la preghiera non dovrebbe avere nulla a che vedere.
L’uomo tornando a casa deve fare i conti con lo sdegno della propria famiglia: i figli lo attaccano, la moglie lo guarda con sdegno. L’unico a prendere le parti dell’imputato sembra essere lo zio, ma Pietro lo azzittisce subito, convinto di non aver bisogno di un avvocato del diavolo. E allora la decisione: smettere con le armi e tornare a fare il venditore di pompe idrauliche. Un’attività che rende di meno che il commercio delle armi, ma comunque un’attività dignitosa, spiega Pietro che è appena rientrato è già deve ripartire, perché la guerra non aspetta. Tutti vengono dunque posti davanti una scelta: io smetto di essere un mercante di morte, ma voi dovrete rinunciare alla vostra ricchezza, afferma deciso Chiocca. La famiglia ha tempo un’ora per decidere. L’uomo ha bisogno di riposarsi e loro di riflettere. Se lo sveglieranno per le 15:30, lui continuerà a vendere armi, se lo lasceranno dormire, tornerà a fare il venditore di pompe idrauliche. Verrà svegliato dalla domestica alle 15:15. Perché la guerra è sacrificio per le vittime, ma anche per chi vive grazie a essa. Fin troppo bene per rinunciarvi. E poi, come dice zio Ettore: “Tanto fra 15 giorni di quel giornale non se ne ricorderà più nessuno“.