Il 20 marzo 1979 Carmine Pecorelli, detto Mino, un giornalista (fondatore dell’OP, Osservatore Politico) e avvocato, venne assassinato a Roma, nei pressi della redazione dalla quale stava uscendo. La sua penna spesso si era scagliata contro Giulio Andreotti, che si ritrovò al centro di scandali pubblicati proprio dal suo giornale (la campagna contro i finanziamenti illegali della Democrazia Cristiana e i segreti riguardanti il caso Moro ad esempio). E nel 1993, il politico fu nominato da un pentito, Tommaso Buscetta, durante un interrogatorio. Quello che dichiarò portò la magistratura ad aprire un fascicolo sul caso: l’omicidio Pecorelli, secondo quanto affermato da Buscetta, fu attuato per difendere gli interessi di Andreotti. Secondo quanto affermato dal pentito, che riportò quanto raccontatogli da Gaetano Badalamenti, il delitto Pecorelli avvenne proprio per volere del politico.
Non fu facile per la Procura di Perugia ricostruire quanto accaduto realmente e nel 1999, durante il processo di primo grado, Andreotti, Vitalone (il braccio destro), Badalamenti, Calò, La Barbera e Carminati (presunto esecutore dell’omicidio) vennero prosciolti “per non aver commesso il fatto”. Sentenza completamente ribaltata il 17 novembre 2002, quando la corte d’assise d’appello di Perugia decise di condannare Andreotti e Badalamenti a 24 anni di carcere in qualità di mandanti dell’omicidio, mentre assolse i presunti assassini. A sua volta questa sentenza fu annullata il 30 ottobre 2003 dalla Corte di Cassazione, che dichiarò Andreotti e Badalamenti innocenti. Ma dopo vent’anni di indagini resta una domanda: chi è il responsabile del delitto Pecorelli.