Roma, 15 marzo 2014 – Mercoledì mattina un gruppo di genitori sono entrati nell’Istituto Comprensivo in via Tommaso Neri a Tivoli per riportare a casa i figli.
La causa scatenante di queste vacanze forzate per i piccoli studenti è stato l’arrivo nelle due classi quinte di nove nuovi alunni provenienti dal vicino campo rom di Stacchini. I bambini, che hanno tra gli 11 e i 12 anni, non conoscono una parola di italiano e per poter comunicare con loro gli insegnati devono avvalersi di altri bambini rumeni in qualità di interpreti.
I genitori hanno deciso di ritirare i loro figli dalla scuola anche perché sono preoccupati per la loro salute: «All’inizio dell’anno scolastico ci chiedono di esibire tutti i certificati di vaccinazione, invece ai genitori dei ragazzi rom hanno fatto firmare una semplice autocertificazione».
La responsabile Liliana Sciarrini ribadisce: «Ai genitori dei ragazzi roma abbiamo chiesto di dichiarare quali vaccinazioni hanno fatto ai figli. Va detto che in Romania se ne fanno anche di più rispetto all’Italia. Chiaramente non ci fermiamo così: con l’Asl abbiamo una convenzione per cui i ragazzi saranno sottoposti a visita completa, con i responsabili che in seguito si metteranno in contatto direttamente con il paese di provenienza per controllare quello che è stato dichiarato. Anche la comunità di Sant’Egidio ci dà un grande aiuto. Noi dobbiamo far rispettare l’obbligo scolastico e il diritto allo studio, sono anni che succedono queste cose e non abbiamo mai avuto nessun tipo di problema, anche perché difficilmente restano per più di qualche settimana. Da questo punto di vista gli insegnanti fanno il possibile. Stiamo lavorando bene, lo dimostra il numero di iscritti che quest’anno è salito a 1.322, in controtendenza rispetto alle altre scuole del territorio».
Non è la prima volta che i figli dei residenti e quelli degli abitanti della baraccopoli vanno a scuola insieme, ma questa volta i genitori esigono delle risposte: «Ci chiamino pure razzisti» hanno affermato i protagonisti della protesta: «Vogliamo delle sicurezze. Qui è un problema di salute. In questi casi a valutare il da farsi è sempre stato il consiglio docenti, ma questa volta non è successo».