La mostra “National Geographic, 125 anni. La Grande Avventura” è stata eccezionalmente prolungata fino al 13 luglio, in seguito a numerose richieste da parte di scuole e visitatori, presso il Palazzo delle Esposizioni.
La mostra fotografica ripercorre le tappe salienti della National Geographic Society, che quest’anno compie ben 125 anni (mentre 15 ne conta la versione italiana), e lo fa attraverso alcuni degli scatti più famosi ed importanti al mondo. I bellissimi spazi che la ospitano sono stati suddivisi in diverse sezioni: La Storia, L’ Aria, La Terra, La Scienza, La Terra Violenta, Il Viaggio, Gli Scatti Epici.
Il 13 gennaio del 1888, trentatré persone tra esploratori e scienziati si riunirono per la prima volta al Cosmos Club, a Washington D.C., con l’obiettivo comune di creare una società, diversa da tutte le altre, per migliorare e diffondere le conoscenze geografiche e allo stesso tempo promuovere la protezione e la cultura dell’umanità, della storia e delle risorse naturali. Dopo aver stabilito un regolamento e steso un progetto dettagliato, il 27 gennaio venne fondata la National Geographic Society. Il primissimo presidente fu Greene Hubbard. La società iniziò presto a pubblicare anche una sua rivista, il National Geographic Magazine e, col passare degli anni, pubblicò anche altre riviste, libri, pubblicazioni scolastiche, mappe, filmati e inserti web in numerose lingue e paesi di tutto il mondo.
Il curatore della mostra, Guglielmo Pepe, con alcune parole ha provato a spiegare cosa significhi per lui National Geographic:
“Poter gettare ponti che scavalchino millenni, continenti, civiltà, raggiungere esseri umani che lingue, scritture, leggi, costumi, fedi diversi parrebbero dividere inesorabilmente da noi, e scoprire invece che ci sono similissimi – quasi dei fratelli – ecco un insigne piacere” Prendo a prestito le parole di Fosco Maraini, scrittore, fotografo, viaggiatore-pellegrino, etnologo, perché si avvicinano molto più di altre alla mia idea di National Geographic. Perché se è vero che la Society ha offerto a milioni e milioni di persone l’occasione di scoprire il Mondo nella sua immensità, credo che il più significativo contributo riguardi la possibilità di conoscere direttamente tutti i viventi della Terra. E in primo luogo le genti. Grazie al magazine – unico nel suo genere perché racchiude al suo interno più riviste – sono entrato in contatto con donne, bambini, vecchi dei luoghi più diversi. Ho appreso storie, culture, modi di vivere – e di sopravvivere – leggendo reportage bellissimi e guardando fotografie straordinarie.
Molti, forse i più, ritengono NG una rivista di fotografia. Sì, lo è. Ma solo in parte. Perché mensilmente pubblica articoli di studiosi, ricercatori e giornalisti, di prima qualità. Che mi hanno aiutato anche a conoscere i più vari ambienti naturali e a capire la vita animale, le particolarità degli habitat, la bellezza e le difficoltà di tante specie, alcune delle quali rischiano l’estinzione. Attraverso pagine intense sono stato coinvolto da un inesauribile racconto del Pianeta che, insieme ai ‘servizi’ sulla ricerca, sulle esplorazioni, sulla scienza, rappresenta l’anima più appassionante, più profonda di un periodico che, nell’era tecnologica dell’informazione in tempo reale, è ancora in grado di stupire e di meravigliare i lettori. E di emozionare. Con “La Grande Avventura” cerchiamo di riportare al maggior numero di persone questa essenza di National Geographic. La mostra – realizzata come sempre con l’apporto fondamentale, operoso e creativo della redazione – è diversa dalle cinque precedenti, perché non è soltanto di immagini: è più un’esposizione fotografico-storica, che farà partecipare i visitatori a un “viaggio” iniziato 125 anni fa a Washington, e continuato in tanti paesi di ogni continente. […] Non so se vedendo la mostra potrete cogliere un altro messaggio. Ma c’è, ed è questo: noi siamo gli esseri più intelligenti del Pianeta, però non i migliori. Dobbiamo avere maggior rispetto nei confronti degli altri esseri viventi, perché il destino di Madre Terra è in primo luogo nelle nostre mani. Non ci è permesso di ignorare, o fingere di ignorare, che non siamo i padroni. Ricordiamoci che il patrimonio che abbiamo a disposizione non è inesauribile. Dunque se dopo la mostra vedrete con occhi diversi – più empatici, più comprensivi – tutte le specie viventi, sarà missione compiuta. E vorrà dire che la speranza di avere un mondo migliore è ancora viva”.
E questo messaggio importante traspare davvero. Foto dopo foto, si vanno a ricomporre i pezzi storici più importanti della rivista. Immagini di persone, popoli, culture, tradizioni, costumi, colori e ancora animali, paesaggi e fenomeni naturali, ci fanno percepire l’amore di tantissimi scrittori, giornalisti e fotografi per il Mondo, inteso nella sua totalità, con tutti i suoi esseri viventi, nessuno escluso, compreso l’uomo e la progressione delle scoperte scientifiche. Si percepisce una grande voglia di raccontarlo agli altri, di raccontare di quanto sia bello, di quanto sia diversificato, di quanto sia ricco e pieno di cose che non conosciamo, di animali sorprendenti, di paesaggi mozzafiato, di tradizioni di culture che sembrano essere così lontane dalle nostre; si trasmettono, con un solo scatto, emozioni così grandi e così complete che ci stupiscono e ci spaventano allo stesso tempo, perché si è riusciti a guardarlo finalmente con nuovi occhi, con un nuovo sguardo, il Mondo, che ci circonda inesorabile e nel quale noi ormai siamo immersi, senza coscienza, senza rispetto, senza ritegno, dimenticandoci che non ci siamo solo noi e il nostro voler sopraffare ogni cosa, ma ci sono altri esseri viventi che lo abitano e lo popolano.
Appena si entra, subito ci colpisce una delle foto che hanno fatto la storia: lo “Sguardo della ragazza afghana”. I suoi occhi fissi, fieri, penetranti, furono immortalati da Steve McCurry nel 1984. La foto fece il giro del mondo e divenne subito il simbolo della condizione dei profughi di ogni provenienza. I colori, la forma del viso, l’angolatura, l’espressione, ci raccontano storie infinite di viaggi e tormenti; i tratti di questa ragazza appaiono duri e gentili allo stesso tempo: i suoi occhi hanno commosso e incantato milioni di persone.
Tra gli altri scatti che più ci hanno colpito troviamo la fotografia di Joanna Pinneo, del 1997, che ritrae una famiglia distesa a terra intenta nel suo riposo pomeridiano: un velo di sabbia copre la madre che, quasi come se stesse in veglia, dorme accanto alla sua piccola figlia di pochi mesi e sua sorella più grande. La foto ci trasmette il caldo incessante di luoghi lontani e la tenerezza infinita di una scena quotidiana. E poi, gli occhi di una tigre tra i cespugli, di Steve Winter; uno squalo con le fauci aperte, di David Doubilet; dei turisti francesi entusiasti a Tahiti, di Jodi Cobb e molte altre ancora.
Tutta l’esposizione ci parla di questo grande amore per il Pianeta Terra, ci parla del viaggio, del mettersi in moto, dell’essenzialità, della gioia della scoperta, dell’avventura, dei mille colori, di genti diverse, della voglia di andare lontano, di sacrificio. Ci parla di Madre Natura, ci parla della Vita.
Roma, 11 aprile