Oggi, 4 maggio, tutta l’Italia piange. Oggi ricorre il 65esimo anniversario del disastro aereo, noto come Tragedia di Superga, che si portò via la più grande squadra italiana di calcio di tutti i tempi. Il Grande Torino, la squadra che ha trasformato il calcio, portandolo avanti nel tempo con un balzo di almeno vent’anni. Qualche giorno fa i tifosi del Benfica, l’ultima squadra ad aver affrontato il Grande Torino prima della tragedia, hanno reso omaggio alla memoria dei leggendari granata, con il pellegrinaggio alla Basilica di Superga e la deposizione sulla lapide di undici rose rosse.
65 anni fa la squadra di calcio del Torino tornava da Lisbona in aereo. Con il quinto scudetto consecutivo praticamente vinto. La squadra che rappresentava dieci undicesimi della Nazionale italiana era andata in Portogallo per un’amichevole: Ferreira, il capitano del Benfica, aveva lasciato il calcio, e per il suo addio voleva far vedere dal vivo ai suoi tifosi quella che allora era considerata una delle squadre più forti del mondo. Valentino Mazzola, il capitano del Torino, aveva accettato.
Alle 17.03 la tragedia. Il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI siglato I-ELCE si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga. Nell’impatto morirono tutte e 31 le persone a bordo: l’intera squadra granata, i dirigenti, gli accompagnatori, l’equipaggio e tre noti giornalisti sportivi italiani. Un tragico epilogo per il Torino. È la fine di un sogno per la Nazionale Italiana, che contava su quei giocatori, perché come loro non giocava nessuno. In un attimo svanisce tutto: svaniscono gli scudetti vinti, la difesa impenetrabile e l’attacco impossibile da fermare. Resta solo il silenzio, l’intero mondo calcistico ammutolisce.
Un disastro che non può essere dimenticato: l’eco dello schianto si sente ogni volta che si sale a Superga, si fa il giro della basilica e si osserva in silenzio la lapide posta in ricordo della tragedia. Lì si possono vedere ogni volta maglie, sciarpe e gagliardetti di altre squadre, spesso straniere.
Ricordiamoli tutti a distanza di 65 anni: Valerio Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadia, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert. E ancora, il massaggiatore Osvaldo Cortina, i dirigenti Arnaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri e Andrea Bonaiuti, i membri dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Cesare Biancardi e Antonio Pangrazi. Infine, i giornalisti Renato Casalbore, fondatore di Tuttosport, Renato Tosatti della Gazzetta del Popolo, e Luigi Cavallero de La Stampa.
Spesso si dice che il calcio è metafora della vita. Infatti, la storia del Torino è fatta di lacrime, gioie, disgrazie, sorrisi, fallimenti e risurrezioni. Proprio come la vita. «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta» scrisse tre giorni dopo sul Corriere della Sera Indro Montanelli.
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Roma, 4 maggio