Il ritrovamento dello scheletro di una giovane donna di circa 15 anni, datato tra i 12.000 e i 15.000 anni fa, avvenuto nella penisola dello Yucatan, in una grotta sommersa, a 40 m sotto il livello del mare, forse ci permetterà ricostruire le origini evolutive del Nativi Americani, mettendo un punto fermo al dibattito che da sempre divide gli antropologi. Alcuni studiosi infatti affermano che i paleo americani discendano da una popolazione che dalla Siberia sarebbe giunta sul suolo americano quando là dove oggi c’è lo stretto di Bering una stretta lingua di terra univa l’Asia all’America; altri invece sostengono che essi abbiano origine da un crogiolo di popolazioni che in successive ondate sarebbero giunte nell’America del Sud provenienti soprattutto della Polinesia.
Purtroppo i reperti americani sono molto scarsi e gli scheletri fin qui ritrovati, sempre incompleti o in cattivo stato di conservazione, non hanno mai permesso analisi morfologiche attendibili a fronte di dati genici certi e viceversa. I dati estrapolati dal reperto risalente al Pleistocene sono stati pubblicati dalla rivista Science alcuni giorni fa. In questo caso non solo si ha un cranio ben conservato, ma dalla radice di un dente del giudizio è stato possibile estrarre del Dna in buone condizioni.
Naia, come è stata chiamata affettuosamente l’adolescente, mostra caratteri morfologici tipici delle popolazioni paleoamericane, mentre il sequenziamento dei Dna mitocondriale la colloca tra gli attuali abitanti del Cile e dell’Argentina. Questo supporterebbe la teoria per cui i paleo americani e i nativi americani deriverebbero da un’unica popolazione arrivata nelle Americhe dalla Siberia.
Roma, 21 maggio