Per lo sciopero generale del 6 giugno, scenderanno in piazza 24 mila statali. L’ennesimo tentativo di mediazione fra sindacati da parte del vicesindaco Luigi Nieri e i rappresentanti sindacali di Cgil, Cisl, Uil e Csa non ha sortito l’effetto sperato: mancano i margini minimi di trattativa. Fine dei giochi. Per la prima volta nella storia del Comune di Roma si fermeranno tutti i dipendenti, paralizzando la macchina burocratica dei servizi al cittadino: asili nido, vigili urbani, biblioteche, scuole materne. A restare chiusa, anche la sala operativa sociale e quella della protezione civile.
E per le fasce di garanzia, la Cigl spiega attraverso il suo portavoce di Roma e Lazio Amedeo Formaggi che: “Non c’è ancora un accordo quadro tra sindacati e Comune che determini quali siano i servizi minimi e quanti dipendenti li debbano garantire, in applicazione della legge 82/2000 e dell’accordo quadro del 2002. Così il Comune non lo può chiedere ai suoi dipendenti “. Una risposta che, nello specifico, ha come diretta interlocutori il segretario generale Cristiana Palazzesi e il suo ordine di servizio del 29 maggio, dove in sostanza si chiedeva ai Messi notificatori dell’Albo Pretorio di garantire comunque le prestazioni minime nella giornata di sciopero.
La speranza dei sindacati è che il maggior numero di dipendenti sfili insieme, nel corteo che partirà alle 8:30 dalla Bocca Della Verità per poi arrivare in Campidoglio. E vista la partecipazione all’assemblea generale dello scorso 6 maggio, questa – la partecipazione – dovrebbe essere altrettanto massiccia se non superiore. Del resto, ai sindacati era stato demandato il compito di proclamare lo sciopero addirittura il 19 maggio, in seguito posticipato al giorno 6 di domani. Oggetto dell’agitazione, 200 euro di salario accessorio in busta paga bloccati dagli ispettori del ministero del Tesoro, che avevano sollevato non poche perplessità sul fondo adibito alla loro erogazione. Da qui, la diatriba fra i dipendenti del comune e il sindaco Marino, che in ultima istanza aveva chiesto l’intervento del governo per riappacificare gli animi.
Vista l’emergenza, allora, è arrivata una circolare firmata da ben tre ministeri, Mef, Pubblico impiego e Affari generali, in cui si stabiliva la possibilità di derogare le valutazioni degli ispettori. Allo stesso tempo, si affidava ad una commissione Stato-Regioni i poteri di ridefinire le nuove modalità di erogazione.
Risolta quindi la questione sugli stipendi di maggi Cgil Cisl, Uil e Csa decidono di sospendere, ma non di revocare lo sciopero. Nel frattempo, una delibera del sindaco Marino, fissa al 31 luglio la scadenza per la ridefinizione di un nuovo contratto decentrato: a questo punto, iniziano gli incontri tra amministrazione comunale e sindacati. Gli incontri in questione, però, non fanno che allontanare le parti, fino a quando per il 6 giugno non viene indetto un nuovo sciopero. Nello specifico, le motivazioni di scioperare è motivata dai sindacati dal dubbio che esistano nelle casse di Palazzo Sanatorio i 72 milioni necessari per la copertura dell’oggetto del contendere. Non ultimo, contestano la scadenza del 31 luglio riportata nella delibera, rispedendo al mittente i progetti di riforma. È rottura. Stamattina, nella sede della Cisl, i sindacati spiegheranno le loro ragioni in conferenza stampa.
“Quella del Comune è un’operazione tutta finalizzata a rispondere ai rilievi del Mef, come se non fosse possibile contestarli e spiegare che si può percorrere una terza via”, osserva Fabio Moscovini, che fa parte della delegazione Cgil impegnata nelle trattative con il Campidoglio. “Abbiamo avanzato una serie di altre richieste. Per esempio, che in Comune non ci sia chi guadagna più del sindaco. Lui prende 80mila euro l’anno, ma c’è chi ne prende anche 300mila. E fanno le pulci alle nostre indennità. Ma insomma, dov’è il cambiamento? “.
Roma, 5 giugno