Eccidio di Schio: è stato un massacro organizzato da un gruppo partigiano nei pressi di Vicenza due mesi dopo la fine della Guerra.
Ricordiamo che dopo la caduta del Fascismo nel 1943, in Italia era scoppiata la guerra civile tra: partigiani, fascisti, nazisti e anglo-americani, si sviluppò in quegli anni la pagina più buia e nera della nostra storia. A Vicenza la tensione era alta, due episodi in particolare generarono molti malumori tra i cittadini: a maggio c’era stata la Strage di Pedescala, 82 civili furono uccisi dai nazisti tedeschi in rappresaglia a un attentato partigiano, mentre a giugno tornò un solo superstite dai campi di concentramento di Mauthausen-Gusen e Dachau, dove furono deportati 14 antifascisti.
Finita la guerra molti partigiani restituirono le armi, ma non tutti, è il caso della Divisione Garibaldi “Ateo Garemi”, che decise la notte del 6 luglio di irrompere nel carcere di Schio per compiere un massacro.
Il gruppo partigiano era guidato da Piva Igino e Bortoloso Valentino, che rispondevano ai nomi di battaglia “Romero” e “Teppa”. Giunsero nel carcere senza elenchi di prigionieri fascisti, quindi fecero una cernita, scegliendo 100 detenuti. Tra questi 91 erano stati arrestati per motivi politici, ma ricordiamo che una guerra civile comporta anche personali regolamenti di conti, molti furono accusati di stare da una parte o dall’altra, infatti, soltanto 27 di loro collaborò col partito fascista. Molti dei detenuti scelti erano in attesa di un regolare processo che avrebbe riconosciuto la loro innocenza.
Tra i partigiani qualcuno obiettò di risparmiare almeno le donne ma Bortolo Valentino si oppose esclamando: “Gli ordini sono ordini e vanno eseguiti”. Ma gli ordini di chi? Ci chiediamo noi.
Otto dei condannati a morte, furono scartati perché condannati per reati comuni, differente la sorte per i restanti 92, che davanti ai fucili spianati dei partigiani, furono mitragliati senza pietà. Morirono in 54, gli altri riusciranno a salvarsi, chi sopravvisse alle ferite e chi si fece scudo con i cadaveri dei meno fortunati.
Per i partigiani si mise male, perché a investigare sulla vicenda, fu il governo militare alleato, furono indicati quindici responsabili della strage, otto di questi riusciranno a fuggire in Jugoslavia e a Praga, grazie all’aiuto del PCI, per alcuni di loro si mobilitarono anche Palmiro Togliatti e Massimo Caprara.
Gli altri sette imputati furono giudicati davanti alla corte alleata, due di loro furono assolti, mentre gli altri cinque furono condannati a morte e all’ergastolo, ma la pena fu alleggerita anni dopo, scontando al massimo dodici anni.
Nel 1956 si tenne un altro processo a Vicenza, si cercavano i responsabili che avevano volutamente ritardato la scarcerazione di alcuni innocenti, e i mandatari dell’esecuzione del massacro. Furono imputati Pietro Bolognesi e Gastone Sterchele, entrambi assolti.
La vicenda è stata riportata su alcuni libri scritti da Massimo Caprara e Giampaolo Panza.
Roma, 6 luglio.