Roma, 14 luglio 2014 – Yara uccisa per vendetta. Queste le parole di Massimo Giuseppe Bossetti, accusato di essere il killer della tredicenne di Brembate di Sopra. Di fronte al gip di Bergamo. Un verbale di una sessantina di pagine dove al muratore 44 enne è stato chiesto se nei cantieri da lui frequentati si parlasse o meno dell’omicidio della giovane ginnasta. L’uomo ha risposto che considerazioni sul delitto “erano all’ordine del giorno”. Qualcuno ha parlato dell’omicidio come una vendetta perpetrata ai danni di Yara e collegata “a presunti rapporti tra la ditta Lopav” e “il signor Gambirasio che fa il geometra nell’edilizia”. Un’eventualità che era non considerata credibile dagli inquirenti dopo le prime indagini ma che torna ora prepotentemente alla ribalta. Bossetti ha riferito di fronte al giudice per le indagini preliminari, che è stata la madre Ester Arzuffi, di come la donna fosse stata sottoposta al test del Dnaa nell’estate del 2012: “Lo sapevo, ne avevamo parlato – ha spiegato al giudice – Lei mi chiese se avevano chiamato anche me e io risposi di no, ma che se lo avessero fatto sarei andato subito, ben venga”. L’uomo, originario di Mapello, nello stralcio dei verbali riportati da Repubblica e L’Eco di Bergamo ha più volte ribadito la sua innocenza: “Giuro sui miei tre figli che Yara non l’ho mai conosciuta, né vista, né incontrata. E che non sono io l’assassino”. In più Poi, riferisce delle sue giornate, che lasciano trapelare una personalità metodica e orientata alla famiglia. Inoltre, dichiara di non sapere assolutamente come il suo Dna sia finito sugli indumenti della ragazzina. Su quel pomeriggio tragico, quel 26 novembre, ha dichiarato di aver percorso il suo tragitto abituale”, che andava dal cantiere dal cantiere di Palazzago a casa, passando anche “davanti al centro sportivo di Brembate”
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