Roma, 4 novembre – Uscire dalla crisi non è mai stato così difficile. Sono i numeri impietosi pubblicati dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) nella consueta nota sulle prospettive dell’economia italiana. Il tasso di disoccupazione salirà dall’12,1% al 12,4%, mentre il PIL (Prodotto Interno Lordo) scenderà dell’1,8%. Un dato che stride con le stime ufficiali effettuate dal governo, le quali prevedevano un calo del PIL dell’1,7% per il 2013 ed una crescita dell’1% per il nuovo anno. Nella pubblicazione, l’Istituto di Statistica riferisce: «Analizzando le differenze tra l’attuale quadro di previsione e quello presentato a maggio 2013 – dice l’Istat – il tasso di crescita del Pil italiano è stato rivisto al ribasso per quattro decimi di punto nel 2013».
Non andrà meglio neanche sul fronte degli investimenti lordi: nel 2013 è prevista una riduzione del 5,5%; un dato che, però, dovrebbe tornare in territorio positivo nel 2014. L’ISTAT prevede una leggera ripresa nel ciclo produttivo che determinerebbe un recupero dei tassi di accumulazione, i quali salirebbero nel 2,2%. Buone notizie, invece, sul fronte delle esportazioni. Il ritorno al commercio con l’estero consentirà di presentare un incremento per il prossimo anno (+3,7%) grazie al miglioramento previsto per il trimestre finale dell’anno in corso. La riduzione delle importazioni complessive nel 2013 (-3,4%) si riverbera sul forte deterioramento delle componenti interne della domanda, così come sulla debolezza attuale delle esportazioni (+0,3%). Solo dal prossimo anno la macchina dell’import-export tornerà a macinare risultati, grazie all’aumento previsto del 3,5%.
Si sottolinea, comunque, come il dato del PIL sia congiunturale, dunque fisiologico con la situazione attuale del paese. Secondo le stime, il trend negativo si fermerà a fine anno dopo l’innesco partito nel terzo trimestre del 2011. Una situazione che, tuttavia, non consentirà al dato di tornare in territorio positivo: la variazione media annuale rimarrà ancora fortemente negativa (-1,8%)
Preoccupa non poco il dato sulla disoccupazione. Nel 2013 il tasso si assesterà al 12,1%, ma la quota aumenterà anche nel prossimo anno sino al 12,4%, pur stabilizzandosi, a causa del ritardo con il quale il mercato del lavoro segue le evoluzioni economiche: «Nei mesi estivi la caduta dell’occupazione che ha caratterizzato la prima parte dell’anno si è arrestata, ma la situazione del mercato del lavoro permane fortemente deteriorata. Il calo misurato in termini di input di lavoro, proseguirebbe per tutto il 2013 (-1,6%), mentre per il 2014 è previsto un lento e graduale miglioramento (+0,1%) che seguirebbe la ripresa dell’attività economica».
Dunque, le previsioni dell’ISTAT sono state riviste in negativo rispetto a quanto contenuto nella nota precedente diffusa, nella quale si segnalavano tassi che ammontavano all’11,9% per il 2013 ed al 12,3% per il 2014. Dati che, invece, risultano sostanzialmente in linea con quanto previsto dal governo nel DEF (Documento di Economia e Finanza): 12,2% per il 2013 e 12,4% per il 2014.
A subirne i contraccolpi negative saranno, in primis, le famiglie: la spesa effettuata nel 2014 rimarrà ancora debole, marcando un misero aumento dello 0,2%. Un dato, comunque, in controtendenza, vista la contrazione dei consumi nell’anno in corso, quantificabile in un decremento del 2,4%: «Nonostante il permanere delle difficoltà sul mercato del lavoro – dice l’ISTAT– e la debolezza dei redditi nominali, nel 2014, la spesa dei consumatori è prevista crescere moderatamente (+0,2%)».
Tuttavia, incoraggia il dato sulle retribuzioni che, nel nuovo anno, dovrebbero aumentare dell’1,4% anche nel nuovo anno, così come accaduto nel 2013. Date le condizioni di estrema difficoltà e debolezza del mercato del lavoro, si rileverebbe comunque una dinamica piuttosto moderata dovuta al blocco retributivo nel settore pubblico ed all’equiparazione tra l’andamento delle retribuzioni di fatto e quelle contrattuali.
I consumi, dunque, sarebbero deboli. Ma potrebbero essere sufficienti a placare l’aumento dell’IVA. La prospettiva di una dinamica inflazionistica dei prezzi al consumo più sostenuta durante l’ultimo trimestre dipenderebbe dagli effetti dell’innalzamento dell’aliquota dell’imposta dal 21 al 22% introdotto il primo ottobre. È quanto, dunque, quel che prevede l’Istituto, aggiungendo: «Il trasferimento completo sui prezzi finali dell’aumento dell’aliquota potrebbe, tuttavia, essere frenato dalla perdurante debolezza dei consumi».
Fonte: Il Messaggero