Roma, 9 novembre – Gli schemi della politica italiana e i loro protagonisti appaiono ormai così fossilizzati di fronte al diffondersi di ogni sorta di illegalità, come ad esempio quella delle tangenti, che il popolo italiano si era ormai abituato a non sentirne nemmeno più parlare. C’è voluto Papa Francesco per risollevare l’argomento e per riavviare un dibattito critico. La lotta ai «devoti della dea tangente», come li chiama il Papa, rimette al centro del dibattito una corruzione che secondo la Corte dei Conti, arriva almeno a 60miliardi l’anno (oltre dieci volte l’Imu sulla prima casa, per rendere l’idea). Le idee del Papa, al contrario di quelle dei politici nostrani, sono ben chiare e non lasciano spazio a magheggi semantici o visioni retoriche: ce lo assicurano le parole: «Il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata» e «La corruzione puzza. Odora di putrefazione».
E le statistiche sembrano dargli ragione. Secondo quella stilata da «Transparency», l’organismo internazionale che misura la percezione della corruzione nei vari Paesi, nel 1995, ai tempi di Tangentopoli e del Pool Mani Pulite, eravamo al 33º posto nella classifica dei Paesi virtuosi. Dieci anni dopo, a dimostrare gli “eccellenti” risultati ottenuti, al 40º. Nel 2008 al 55º. Nel 2009 al 63º. Oggi abbiamo conquistato la 72ª posizione, sotto la Bosnia Erzegovina e il Ghana. Forse le parole apparentemente esagerate e pesanti di Papa Bergoglio andrebbero condivise collettivamente ed incondizionatamente, non solo dai politici ma anche dai cittadini, perché a quanto la leggerezza con la quale è stata condotta questa battaglia fino ad oggi non porta grandi risultati.