Roma, 2 dicembre- Incendio a Prato in uno stabilimento-dormitorio cinese. Morte e orrore nella patria dello sfruttamento, dove delle persone vengono tenute 15 ore al lavoro, chiusi dentro con sbarre a finestre e a porte, costretti a lavorare, dormire e vivere in un capannone.
Ne parla pubblicamente Leonardo Tuci, carabiniere in congedo, il primo arrivato sul posto che ha lanciato l’allarme e ha prestato i primi soccorsi. « Pochi minuti prima delle 7 stavo passando con la mia auto – racconta Tuci – quando ho visto una nube scura di fumo provenire dal capannone. Mi sono avvicinato e ho visto alcuni cinesi che mi venivano incontro piangendo e urlando. Sono corso verso il capannone e ho visto un cinese con un estintore in mano per cercare di spegnere l’incendio. Ho preso anche io un estintore per aiutarlo. Era stremato, anche per il freddo, e continuavo a sentire le loro grida e invocazioni di aiuto. Ma la cosa più sconcertante è aver sentito le urla delle persone che erano intrappolate. Quello che potevo fare ho fatto. Ho cercato di fare del mio meglio e ho il rammarico di non poter fare di più. quelle urla… » Tuci racconta con una smorfia di dolore quei momenti drammatici, straziato dalle urla delle persone intrappolate e terrorizzate che man a mano non riuscivano più a respirare, dietro a quelle sbarre di ferro che sono diventate la loro tomba oltre che la loro prigione. Quelle grida e quelle preghiere rimarranno, non solo nelle orecchie di Tuci, ma nell’aria di Prato e di tutta Italia, come monito per un Paese che punta a testa bassa solo a biechi profitti, abolendo i diritti civili e i diritti fondamentali dell’uomo.