Roma, 20 febbraio- Solo un notte di tregua in Ucraina, a Kiev, una notte di quiete preparatrice. Questa mattina sono riiniziati i forti scontri fra polizia e manifestanti, dopo la morte di 20 civili di alcuni giorni fa, i rivoltosi hanno ripreso il controllo delle strade, catturando 50 poliziotti della tanto odiata Berkut, la polizia antisommossa. Gli ostaggi sono stati portati in un palazzo occupato attraverso una catena umana di antigovernativi. Intanto le notizie si rincorrono, fra smentite e dubbi, sembra sia arrivato a 35 il numero delle vittime civili, ormai da entrambe le parti si usano armi da fuoco in strada, per difesa e per attacco. Evacuato, per motivi di sicurezza, il palazzo della Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, mentre continuano i colloqui fra Ianukovich e ministri degli esteri europei, con la speranza di trovare un accordo o un’intimidazione abbastanza forte da fermare il bagno di sangue. Ormai sembra siano trascorsi secoli da quei primi giorni di novembre in cui una marea umana colorata e festante chiedeva a gran voce l’ingresso nell’Unione Europea. Kiev è infatti sull’orlo della guerra civile, non si pensa più all’Europa, ma fra fiamme e sangue, gli ucraini vogliono abbattere il regime di Ianukovich. Le proteste di Kiev hanno mostrato la spaccatura da sempre esistita in Ucraina, da una parte le regioni orientali e meridionali, prevalentemente russofone e dove Ianukovich ha il suo feudo elettorale ( anche se in calo), e dall’altra quelle centro-occidentali, dove l’opposizione gode di ampi margini di consenso e rappresenta la maggioranza. Le violenze inflitte e perpetuate da Ianukovich alla piazza di Kiev sono arrivate fino ai giochi olimpici di Sochi, dove alcuni atleti ucraini hanno abbandonato le competizioni e lasciato la cittadina, non potendo più rappresentare con orgoglio e a testa alta il proprio Paese.