Un’ape di 40 mila anni fa non era poi così diversa da quelle che osserviamo raccogliere il polline in questi giorni di primavera. Lo afferma, in uno studio pubblicato su PlosOne, un gruppo di ricercatori del Museo di Storia Naturale della Contea di Los Angeles, che grazie all’utilizzo di una tac e di raggi infrarossi hanno potuto esaminare senza danneggiarlo il fossile di pupa conservato in un nido di foglie.
La tomografia computerizzata o Tac permette di riprodurre sezioni o strati di un corpo che poi possono essere rielaborate tridimensionalmente senza andare ad intaccare l’involucro, mentre i raggi infrarossi, invisibili all’occhio umano, perché si muovono su una lunghezza d’onda superiore ai 780 manometri permettono di vedere sotto “un’altra luce” i fossili, in quanto vanno a irradiare i minerali fluorescenti creando immagini che l’occhio umano non potrebbe percepire.
Il fossile, che risale a un periodo tra i 23 mila e i 40 mila anni fa, era stato ritrovato a Los Angeles negli anni ‘70, ma era stato considerato troppo fragile per essere analizzato. La pupa, cioè l’ape neonata, custodita nell’involucro fossile, appartiene al genere Megiachile gentiles, ancora presente nei nostri giardini ed è tra le poche specie che resisterebbero all’aumento delle temperature che il nostro pianeta sta subendo negli ultimi decenni.
Roma, 16 aprile