Isabelle Eberhardt, donna piena di contrasti, grandi passioni e un altrettanto profondo senso di spiritualità. É a questa donna che La compagnia Eritema dedica lo spettacolo al Teatro dell’Orologio Isabelle Eberhardt: io parto per l’ignoto. Sara Religioso e Davide Iacovacci portano in scena, da giovedì 8 a domenica 11 maggio, l’atto unico di Paola Merolli diretto dallo stesso Iacovacci.
Isabelle Eberhardt scrittrice, nacque a Ginevra, dove la madre, russa, si era trasferita, insieme ai suoi figli e al loro tutore, il padre di Isabelle, un anarchico, anticonformista, che non la riconoscerà mai come figlia. Nonostante ciò le trasmetterà un amore inestinguibile per l’indipendenza e la libertà di costumi. Nel 1897 giunge per la prima volta in Africa in compagnia della madre e ne rimane affascinata. Assume un nome arabo, si veste da uomo, diventa musulmana, e qui incontra Slimène, un sottufficiale di origine araba. I due si sposano, ma Isabelle, pur amandolo profondamente, non cambierà il suo stile di vita: alcol, hashish e rapporti casuali. Muore a soli ventisette anni, il 21 ottobre del 1904, nell’oasi di Ain –Sefra, nella sua casa, travolta dalla piena dell’Uadi.
Lo spettatore incontra Isabelle proprio in questi ultimi istanti di vita, sofferente nel corpo e nell’anima, ma indomita, in cerca ancora di se stessa, della sua vera essenza. Appare in scena, tramortita legata con dei fili, come se qualcuno l’ avesse rapita, una voce fuori scena continua a parlarle, a mettere in evidenze tutti gli sbagli, gli eccessi, e tutto ciò che non è andato nella sua vita…Isabelle si ribella a questa voce, la quale tocca profondamente ogni parte reale della sua vita, e tira fuori tutti i sensi di colpa della stessa, come ad esempio quando ha costretto la madre a trasferirsi in Africa e dopo solo 7 anni è morta perché il suo cuore non ha retto. E’ un continuo botta e risposta tra Isabelle e la voce fuori campo, solo successivamente si scoprirà che la voce che imprigiona Isabelle nei suoi ultimi istanti di vita altri non è che la voce della sua coscienza.
Isabelle spera che torni il suo amore prima di morire, Slimène, e lo ripete in continuaziome, ma la sua anima gli parla chiaro dicendo che non vedrà più l’ uomo della sua vita, l’ unico uomo che Isabelle abbia mai amato, nonostante le varie avventure e i vari amanti della sua vita, tra cui il direttore del giornale per cui lavorava, lavoro che le aveva fatto amare ancora di più in maniera incondizionata l ‘ Africa, in particolar modo il Sahara.
Isabelle controccorrente fino alla fine decide di non salvarsi dalla piena dell’ Uadi dalla quale verrà travolta nella sua casa.
Roma, 10 maggio