La frana del Vajont è avvenuta la sera del 9 ottobre 1963. Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso e che confluisce nel Piave, davanti a Longarone e Castellavazzo, Belluno.
Alle 22:39 del 9 ottobre 260 milioni di m³ di roccia si sono staccati dal monte Toc e hanno invaso, alla velocità di 30 m/s, il bacino creato artificialmente dalla diga del Vajont. In pochi minuti i paesi della zona si sono trasformati in uno dei disastri più ricordati in Italia.
I borghi Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Frasègn, Ceva, Marzana, Prada, Faè, San Martino e la parte bassa dell’abitato di Erto sono stati completamente distrutti e stessa cosa vale per Longarone, Pirago, Villanova, Maè, nella Valle del Piave. Tutti paesi che sono diventati teatro di uno dei disastri più ricordati in Italia.
I progetti per la costruzione della diga – L’idea di costruire la diga è datata 1928, quando il geologo Giorgio Dal Piaz ha effettuato i primi studi per l’individuazione della zona in cui costruire il bacino artificiale attraverso la costruzione di una diga. La stessa poi è stata costruita dalla SADE, Società Adriatica di Elettricità.
Nel 1940 poi è stato chiesto al ministero dei Lavori Pubblici di poter usare i deflussi del Piave, degli affluenti del Boite, Vajont e altri minori per scopi idroelettrici. La richiesta prevedeva anche l’uso di deflussi regolati da un serbatoio della capacità di 50 milioni di metri cubi, creato attraverso la costruzione di una diga altra 200 metri sottendente un bacino imbrifero di 52 chilometri quadrati.
La richiesta è stata accettata il 15 ottobre 1943, anche se bisogna sottolineare che a partecipare al voto sono stati solo 13 consiglieri su 34 del Consiglio Superiore del Lavori Pubblici. L’approvazione del progetto quindi è stato il risultato di una decisione illegale in quanto mancava il numero legale richiesto per legge in sede di voto.
Nel 1948 è poi intervenuto il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi con un decreto. Nel 1956 la SADE ha presentato il nuovo progetto con l’innalzamento della diga da 200 a 266 metri, con conseguente innalzamento del lago artificiale, che così sarebbe arrivato a contenere il triplo dell’acqua rispetto a quanto progettato inizialmente (si faceva riferimento a 58 milioni di metri cubi). Quella del Vajont sarebbe diventata la diga più alta del mondo.
Questa richiesta però non teneva contro delle conseguenze geologiche che si sarebbero potute verificare, come ad esempio quelle del monte Toc, montagna di natura franosa. Le amministrazioni locali si sono anche opposte al progetto dato che avrebbe espropriato case e terreni agli abitanti della valle. Ma ciò è stato inutile e i lavori sono iniziati nel 1956.
Con l’inizio dei lavori si sono verificate alcune scosse sismiche e i rilievi geologici della SADE hanno rilevato la pericolosità dell’impianto e il rischio di slittamento del terreno. Ma quanto rilevato non è stato comunicato agli organi addetti ai controlli e la SADE ha deciso di proseguire.
La prima frana è avvenuta il 4 novembre 1960 e ha portato a modificare il livello dell’invaso per limitare lo smottamento del terreno circostante la diga. Con la complicità dello Stato e con una scienza completamente assoggettata i lavori sono andati avanti e hanno portato a quella che può essere considerata una tragedia annunciata: la frana del Vajont.
La sera della frana del Vajont – I primi problemi sono stati avvertiti alle 22:00, quando Giancarlo Rittmeyer, quella notte di guardia alla diga, ha visto il cedimento della montagna e ha immediatamente informato l’ingegnere Biadene, al tempo rappresentante della SADE, che però gli ha detto di calmarsi, pur restando vigile. Da qui la decisione di diminuire in modo graduale l’altezza dell’invaso per scongiurare il distacco di una frana e per evitare che una possibile frana fosse in grado di scavalcare la diga con l’onda che avrebbe generato.
Ma la frana si è verificata alle 22:39 e le sono bastati 20 secondi per arrivare a valle, generare una scossa sismica e riempire il bacino artificiale. L’impatto della frana con l’acqua ha generato tre onde: una verso l’alto, che poi è ricaduta sulla frana; una verso le sponde del lago, che ha distrutto Erto e Casso e una che ha scavalcato la diga ed è precipitata nella valle sottostante.
Le conseguenze della frana del Vajont – 1917 le vittime della frana del Vajont, la maggior parte di Longarone, che ha contato 1450 vittime. 158 erano di Erto e Casso; 109 di Codissago e Castellavazzo; 200 erano di altri comuni. Verso le 5:00 del 10 ottobre sono intervenuti i primi militari, che per trovare i corpi dei dispersi hanno anche scavato a mano. 1500 i cadaveri ritrovati e la metà di questi irriconoscibile.
Secondo alcune stime l’onda d’urto causata dallo spostamento dell’aria è stata d’intensità pari se non superiore a quella generata dallo sgancio della bomba atomica su Hiroshima.
Il processo – Nel 1968 è iniziato il processo, che si è concluso in Primo Grado con la condanna a 21 anni di reclusione degli imputati, tra cui: il direttore del servizio costruzioni della SADE, il direttore dell’Ufficio Lavori del cantiere del Vajont, l’ingegnere campo del Genio Civile di Belluno, il direttore ENEL-SADE, il direttore dell’Istituto di Idraulica della facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova (esperto idraulico e consulente della SADE) e i componenti della Commissione di collaudo della diga del Vajont.
Tuttavia la pena è stata poi ridotta in appello e alcuni sono anche stati assolti per insufficienza di prove. Nel 1997 la Montedison, società che ha acquisito la SADE, è stata condannata a risarcire i comuni colpiti dal disastro e nel 2000 è arrivato l’accordo con Enel e Stato per la ripartizione del risarcimento.
Nel 2008, anno internazionALE del pianeta Terra, la frana del Vajont è stata citata come caso di disastro evitabile. Resta infatti una tragedia tutta italiana, causata dal prevalere degli interessi economici e politici sull’incolumità delle popolazioni presenti nel luogo. Una tragedia annunciata, non una fatalità.
9 ottobre 2014