Roma 24 Febbraio 2014 – Matteo Renzi declama il suo discorso al Senato e ottiene la fiducia con 169 sì e 139 no, proprio nell’ aula composta dagli stessi che, pochi giorni fa, hanno dato il benservito al collega Enrico Letta, che Renzi non manca di ringraziare, e nel tripudio di un applauso generale da parte della maggioranza PD.
Un discorso ispirato quello di Renzi, privo di formalismi, di preparato quasi niente, qualche appunto, tutto il resto a braccio, improvvisato e di pancia, da sindaco, da cittadino. Un discorso però che non perde in ambizione, in coraggio e che tocca temi centrali, molti non proprio sconosciuti all’elettore medio, i cavalli di battaglia infatti, della spinta riformatrice renziana ci sono tutti. Ed è proprio all’elettore medio che si rivolge, rimarcando la necessità di prestare attenzione a “Ciò che sta fuori dalle aule”, ai mercati rionali più che a quelli finanziari.
“Comunico fin dall’inizio che vorrei essere l’ultimo presidente del consiglio a chiedere in quest’aula la fiducia”, dichiarando però più avanti, sullo stesso tema di voler mantenere fermo “Il no al voto di fiducia e il no al voto di bilancio e la possibilità di svolgere la funzione senatoriale non come incarico figlio di un’elezione diretta e con un’indennità ma […] attraverso l’assunzione di responsabilità dai territori“, chiara è quindi l’intenzione del neo-premier , di abolire il Senato e riformare il Titolo V della Costituzione per una redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni ma anche introducendo, dice: “Una clausola di intervento della legge statale anche in materie che siano esclusivamente assegnate alla competenza regionale quando questo sia richiesto da esigenze di unità economica e giuridica dell’ordinamento”. Punti programmatici come si ricorderà, analogicamente già presenti nel programma del governo Letta, il quale auspicava nel superamento del bicameralismo perfetto, auspicio come sappiamo rimasto tale, ma a cui Renzi, oggi, pone scadenza, lapidario a fine marzo.
Analogia anche nelle critiche al M5S, di cui, spesso in aula suscita le reazioni. “Noi a differenza di qualche leader, siamo orgogliosi di essere democratici”, “noi non abbiamo paura di andare alle elezioni”, provocazioni simili a quelle dell’ex premier Letta che anche se in tono più sommesso , comunque li definiva, antidemocratici, accusandoli di incitare all’insubordinazione.
I punti programmatici, quindi, sia per quello che riguardava Letta ai tempi che furono, sia per quanto esposto in aula dal “Rottamatore, rimangono essenzialmente gli stessi, ma appaiono più solidi, ancorati a termini certi e promesse concrete. Dall’abolizione delle province , tramite il disegno di legge Delrio che impedirebbe le elezioni provinciali il 25 maggio, alla riduzione del numero dei parlamentari, tema già affrontato da Letta e riproposto, ma svecchiato dal nuovo Presidente “Oggi il numero dei parlamentari è eccessivo rispetto al […] benchmark internazionale”, come riaffrontato è l’ormai leit-motiv inerente la legge elettorale, definita una priorità, e una “prima parziale risposta all’esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia”.
Notevoli, sebbene già affrontati in questi anni dal Segretario, sono i punti di novità, Matteo Renzi tira le somme e si approccia alle riforme in modo pragmatico, senza mezzi termini. Parte dalla scuola, dalla rivalutazione della figura dell’insegnante come pilastro sociale, focalizza l’attenzione sull’edilizia scolastica, nodo centrale del suo programma di governo, e lo affronta con una concreta assunzione di impegni: “intervenire nell’edilizia scolastica dal 15 giugno al 15 settembre, con un programma straordinario – dell’ordine di qualche miliardo di euro, e non di qualche decina di milioni”. Fino ad un “cambio radicale delle politiche economiche” stila 4 punti: “sblocco totale[…] dei debiti della pubblica amministrazione”, la costituzione di fondi di garanzia per risolvere “l’unica reale, importante e fondamentale questione […] quella delle piccole e medie imprese che non riescono ad accedere al credito.” Fino ad “una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale”. Progetti ambiziosi quindi, quelli del Premier che però, non si ferma qui, indicando un piano lavoro, e lo fa partendo da una rivalutazione del concetto di investimento: “Sembra che, quando un soggetto vuole investire in Italia, questo debba essere cacciato al grido di «guai allo straniero!»”, sottolineando che “l’interesse nazionale è il posto di lavoro che si crea” correlato proprio alla “capacità di attrarre investimenti in questo Paese”.
Passa poi all’attacco ai manager: “Noi vorremmo che la parola accountability trovasse una traduzione in italiano, perché vi sono le responsabilità erariali, quelle penali e quelle civili, però non ce n’è una da mancato raggiungimento degli obiettivi”. Mentre sul fisco sottolinea l’esigenza di trasparenza: “ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione debba essere visibile on line da parte di tutti” e su questo cita persino Bergoglio: “il Papa ha detto che Internet è un dono di Dio”, propone la dichiarazione dei redditi precompilata e critica il sistema, senza tralasciare l’evasione fiscale: “Far uscire i cittadini dal pregiudizio per il quale sembra sempre che chi è famoso e potente comunque la sfanga”.
Anche sulla questione giustizia il Premier, non rimane certo indietro, e con un occhio al passato, non dimentica di sottolineare in merito i vent’anni di dibattiti e di posizioni discordanti a cui abbiamo assistito: “Credo che le posizioni siano calcificate, siano intangibili, che nessuno possa convincere l’altro che si è compiuto un errore”. E avanza dichiarando entro giugno “la presentazione di un pacchetto organico di revisione della giustizia”, con un’aperta critica alla giustizia amministrativa “lavorano più negli appalti pubblici gli avvocati, che i muratori”, ma senza risparmiare, neanche quella civile e penale afferma: “La giustizia in Italia corre il rischio di arrivare troppo tardi […]quando si entra in un’aula di tribunale non si sa come se ne esce”.
La conclusione Matteo Renzi la riserva al tema dei diritti, un tema che sostiene dovrebbe essere senza bandiere. Parte dalla cittadinanza ai figli degli immigrati, e lo fa in modo poetico, racconta la storia di un’ipotetica bambina tra i banchi di scuola, sottolineando come il termine “Identità non è un baluardo contro la parola integrazione”, e aggiungendo “qualcuno di noi pensa che sarebbe giusto che quella bambina fosse considerata italiana al momento della nascita ma altri tra di noi pensano che occorra almeno un ciclo scolastico”. Sulle unioni civili invece non si sofferma ma si apre al confronto, perché “sui diritti si fa lo sforzo di ascoltarsi”. Il premier chiude quindi, raccontando a chi con una telefonata ha voluto dare attenzione appena salito a Palazzo Chigi, da Lucia Annibali, sfregiata dall’acido su commissione dell’ex fidanzato, sino ad un suo amico che ha perso il posto di lavoro “So che a voi non vi interessa, ma a me sì”. L’ultimo sguardo infine lo rivolge All’Europa, tema ostile alla Lega, quanto controverso rispetto ai 5stelle, tema che Letta aveva affrontato dicendo: “Chi ama l’Europa, sa che senza l’UE ripiombiamo nel Medioevo”, e che Renzi tratta in chiave ottimistica: “L’idea è che il futuro dell’Italia non sia quello di essere il fanalino di coda dell’Europa, che il futuro dell’Italia non sia stare a lamentarsi e piangere dalla mattina alla sera, che il futuro dell’Italia non sia semplicemente raccontarci come le cose vanno male o perché non ci fanno lavorare. Il futuro dell’Italia sta nelle qualità, nel genio, nell’intelligenza e nella curiosità di ciascuno di noi”.