Roma, 11 novembre – La nuova vita del Teatro Valle occupato procede a tappe forzate. Il calendario da qui alla fine dell’anno stilato per la sopravvivenza della fondazione che gestisce l’impianto non ammette soste: fra quattro giorni ci sarà il primo incontro pubblico contro il “monopolio” della SIAE; poi una lunga ed inevitabile serie di appuntamenti e scadenze che determineranno se l’autogestione “valligiana” sarà soltanto un’avventura di qualche mese o avrà futuro ed avvenire.
Dopo il primo meeting anti-SIAE, l’agenda prevede l’istituzione e l’avvio dei gruppi di lavoro preposti al found-raising (ricerca di fondi), comunicazione, promozione ed attività tecniche. Ci sarà solo qualche settimana di tempo per adoperarsi in questa direzione, mentre sarà concesso poco più tempo per l’attivazione di una sorta di “banca del tempo”. L’obiettivo è quello di offrire manodopera ed ospitalità a casa propria degli artisti. Nel frattempo, non supereranno la durata di due mesi i tempi per l’attesa del via libera prefettizio, mentre il primo incontro in cui stilare le linee guida per la futura direzione artistica sarà fissato entro natale. Tuttavia, la macchina non potrà essere messa in modo se prima non arriverà l’ok da parte della Prefettura, la quale sancirebbe il riconoscimento giuridico della Fondazione.
Se così sarà, a prendere ogni decisione saranno i cosiddetti “soci comunardi”, i quali si riuniranno in assemblea per la nomina di un consiglio di dodici persone in carica per due anni con una turnazione interna. Questo, a sua volta, avrò il compito di scegliere un direttore/direttrice/collettivo di direttori che cureranno l’aspetto artistico a tempo determinato. Proprio per questo, gli stessi “valligiani” e gli addetti ai lavori, procederanno alla pubblicazione di un bando che disegnerà l’identikit ideale di questa figura. Gli occupanti nella prima assemblea pubblica, insieme ad un centinaio di cittadini, dichiarano subito dopo la presentazione dello statuto: «L’attuale programmazione del teatro è l’ultima dell’occupazione, dalla prossima stagione il direttore artistico avrà piena autonomia nelle scelte pur continuando a confrontarsi con la comunità del Valle».
Chi vorrà avere in mano la direzione artistico del Teatro Valle, dovrà rispettare diversi criteri di selezione, tutti dettati dall’agenda di palco della sala: vocazione politica e condivisione del progetto da cui è nato il presidio dei lavoratori e lavoratrici dello spettacolo; pluralità delle forme artistiche e delle poetiche da portare in scena. Dunque, ci sarà molto lavoro da fare. Vige, comunque, l’ottimismo. Per garantirsi la sopravvivenza il Teatro Valle può contare su un fondo di tredicimila euro: esso verrà rifinanziato dai soci, dai proventi degli spettacoli e dalle attività collaterali. Insieme all’inestimabile patrimonio immateriale di competenze e saperi inserito per la prima volta in uno statuto giuridico, si potrà contare su 130 mila euro “vincolati”: difatti, si potrà attingere a questa somma soltanto nel caso in cui la Fondazione finisse male, insieme ad altri 68 mila euro di opere donate dagli artisti.
Sono molte le proposte formulate dalla prima assemblea pubblica per garantire la gestione trasparente e duratura del Teatro Vale: dai pranzi della domenica alla selezione dei film, dalla radio ai dibattiti. Non mancano le idee, ma tutto dipende dal “Sì” della Prefettura. Effettivamente, questo rappresenta il principale scoglio da superare. Dagli uffici di Palazzo Valentini, difatti, potrebbe arrivare la richiesta di un’ulteriore documentazione entro il 14 gennaio: con questo atto, si vuole certificare e testimoniare lo scopo sociale della “Fondazione Teatro Valle Bene Comune” insieme alla copertura economica dell’intero progetto. Dalla data della notifica, poi, i “soci comunardi” avranno un solo mese ed una sola chance per riparare alle obiezioni e garantirne minuziosamente la stabilità: «Non abbiamo deciso semplicemente di sottoporci a un giudizio, ma poniamo una questione politica», dicono i soci.
Nello statuto, nero su bianco, c’è il riconoscimento di una sperimentazione artistica durata due anni in regime di occupazione e l’affermazione della necessità di salvaguardare i “beni comuni”. Si tratta di un’istituzione ancora assente nel sistema giuridico italiano alla cui definizione lavora, da un anno a questa parte, la Costituente istituita da Stefano Rodotà.