Roma, 28 ottobre – Sono 27 le vittime della Ru486. Dal 2010 la pillola abortiva sta mietendo vittime in tutto il mondo ma nessuno ne parla. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di morti dovute a infezioni da Clostridium, un batterio che può rivelarsi letale. In un primo momento queste morti erano attribuite a una somministrazione inappropriata – per via vaginale – del secondo farmaco abortivo, che si assume 48 ore dopo la Ru486.
Ma la morte per infezione di una giovane donna che lo aveva assunto per bocca ha smentito anche questa ipotesi. I Paesi coinvolti sono: 14 donne morte negli Stati Uniti, una in Canada, una in Portogallo, sei in Gran Bretagna, due in Francia, una in Svezia, una a Taiwan, una in Australia. La lugubre lista si allunga nell’indifferenza generale, e andrebbe completata con altre dodici persone, decedute dopo aver utilizzato lo stesso prodotto per scopi non abortivi (ci sono anche uomini), dopo somministrazioni al di fuori di protocolli autorizzati (il cosiddetto uso compassionevole). In totale i decessi segnalati dopo somministrazione della Ru486 sono quindi 39.
Leo Aletti, Primario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Azienda Ospedaliera di Melegnano, sostiene che «quando un farmaco provoca la morte non deve essere mai somministrato. Il codice deontologico medico del resto lo afferma in modo esplicito». In passato altri farmaci (come la talidomide) che hanno provocato alterazioni sono stati eliminati dal prontuario farmaceutico. Comunque, al di là là della liceità o meno dell’aborto, «da un punto di vista statistico il confronto da compiere è tra l’aborto farmacologico e quello chirurgico: in Italia dal 1978 a oggi sono stati praticati sei milioni di aborti in ospedale, e la mortalità tra le donne è stata vicina o pari a zero. Fatte le debite proporzioni, questo significa quindi che la RU486 è micidiale».