Roma, 11 dicembre – Un libro dedicato ai bambini, alle donne, agli uomini vittime di una violenza inaudita che negli ultimi anni sta creando un mercato che vale 600milioni di euro. Una vera e propria tratta di esseri umani, davanti all’indifferenza dei paesi occidentali e non. “Il traffico internazionale di esseri umani: Sinai e oltre” è il libro scritto da tre donne: Meron Estefanos, eritrea, attivista dei diritti umani e giornalista che vive a Stoccolma, Myriam Van Reisen, professoressa universitaria e direttore dell’Eepa, centro di ricerca di politica estera con sede a Bruxelles, e Conny Riiken, docente di diritto internazionale e avvocato. Queste tre donne raccontano nel loro libro le testimonianze delle vittime sopravvissute: persone che sono fuggite dai loro paesi alla ricerca di una vita migliore, che una volta catturate, sono state stuprate, massacrate, talvolta uccise. Quello dei trafficanti del Sinai è un business criminale che ha appena cinque anni di vita: le prime rivelazioni risalgono al 2009. Ma sta decollando a ritmi vertiginosi, nell’indifferenza di tutte le democrazie occidentali.
I primi riscatti richiesti alle famiglie dei rapiti e torturati erano attorno ai 1000 dollari, poi un improvviso rialzo a 30mila, fino a 40 e persino 50mila, in qualche caso, quest’anno. La tattica utilizzata è sempre la stessa e consiste nel fornire un telefono satellitare alla persona in fuga per permettergli di rintracciare i propri famigliari. Così le famiglie entrano nel panico e attivano un circuito per riuscire a racimolare il denaro. Le raccolte vengono estese alle comunità nazionali presenti all’estero, in Canada, negli Stati Uniti, in Europa, e i soldi arrivano alla fine in alcuni conti correnti che debbono rimanere segreti. Uno dei luoghi dove vengono compiuti i peggiori crimini e le peggiori violenze contro queste persone in fuga è, appunto, il Sinai. Le tre autrici raccontano storie di abusi, violenze sessuali, dove le donne vengono violentate con mani legate, bocca tappata e la benzina cosparsa sul corpo e sui capelli. La paura della morte. Il dolore della violenza. La storia che più colpisce è forse quella di un anonimo trentottenne eritreo che soli 12 anni viene mandato in guerra assieme ai suoi tre fratelli contro l’Etiopia ma torna vivo solo lui. L’Eritrea ottiene l’indipendenza, ma lui viene messo in galera “perché parlava con la voce troppo alta”. Un anno e mezzo in una fossa sotto terra, senza luce, col cibo che gli veniva buttato dall’alto. Poi una seconda, una terza condanna. Allora prende per il collo una guardia, ruba il fucile, fugge nel portabagagli di un’auto. Fuori città chiama la moglie: «Portami le ragazze, tu resta con i bambini». Ha due figlie di 15 e 12 anni, e vuole che evitino il servizio militare, previsto in Eritrea anche per le donne. Fugge con le figlie ma viene catturato dai trafficanti e messo in un campo di detenzione. Sviene. Le violentano davanti ai suoi occhi quando si risveglia, cosa che avverrà molte altre volte. La più grande rimarrà incinta. Organizza con la famiglia una raccolta di fondi per liberare almeno lei. Invece mandano via lui. Finisce in un ospedale di Tel Aviv, viene a sapere che le ragazze sono vive, chiede l’elemosina tra i rifugiati per raccogliere fondi, li spedisce. Ma le ragazze non verranno liberate. E adesso è sempre lì, in Israele, tra i profughi. E si sente un padre degenere. Il libro è aggiornato al naufragio di Lampedusa che ha visto la morte di 366 clandestini. Rivelare queste storie significa attentare l’onore e la dignità di queste persone ma sembra un giusto compromesso per mettere fine al silenzio che ormai da cinque lunghi anni si fa complice delle loro vite spezzate. Significa, o almeno ci auguriamo, che abbia un impatto emotivo tale da provocare un intervento.
(Espresso)