Roma, 11 marzo – Il bianco, simbolo di neutralità e pace, spesso confuso per rassegnazione e passività, eppure non volevano comunicare né gli uni né gli altri le deputate di bianco vestite. La loro era una battaglia. La battaglia dell’alternarsi uomo-donna, che nasconde quella triviale maschio-femmina ( o Berlusconi-Renzi, anch’essa abbastanza triviale). Quella di ieri è stata una giornata sulle barricate, in prima linea perchè fosse la legge a decretare la parità fra uomo e donna, perchè fosse la legge a decidere se è più competente l’uomo o la donna per un determinato lavoro. Infatti le quota rosa in Parlamento rappresentano ( speriamo con qualche eccezione, visto l’esito ) tutte le quote rosa.
In un’ Italia dove, da una parte, non esiste la parità o il superamento di genere ( e neanche si contempla) e dall’altra siamo ancora qui a cercare di privilegiare le donne in quanto tali, non certo per le loro capacità. Ed è proprio quest’ultimo punto che rappresentano le quota rosa e tutti gli altri tentativi fantasma di varare il rispetto con il varo di una legge. Le deputate di bianco vestite hanno lottato ( e perso) proprio su questo, sul tentativo di basare la scelta su uomo o donna, non in base alle capacità, ai meriti o alle esperienze, ma in base ad una questione puramente ormonale. Meglio perché donna ( passando così dalla discriminazione in un senso nella discriminazione nel senso opposto).
Con questa chiave di lettura, è indubbiamente difficile vedere la battaglia delle deputate come la battaglia di tutte le donne ( e di una parte degli uomini si spera). Non ci si stupisce che alla vigilia del voto, l’8 marzo, i cittadini siano scesi in piazza in tutta Italia contro quella stessa battaglia. Sarà anche il fatto che è difficile immaginare le rivolte femministe in tailleur bianco, tacco 12 e sciarpa di seta. Certo in un momento di crescente violenza sessista (termine spesso abusato ), di abbandono delle neo mamme e negazione dei diritti, l’approvazione delle quote rosa poteva essere un segnale, simbolico, ma un segnale. Se il Parlamento non è in grado di incentivare una rivoluzione culturale, per lo meno potrebbe muovere qualche timido passo. Invece la fondamentale legge elettorale, dalle liste bloccate, è venuta prima. E non sembra poi così lontano quel “Le donne non scassino la minchia” del deputato Udc Pippo Gianni.