Il mondo occidentale non l’unico modello sociale sviluppatosi nel corso del tempo quandom, ancora oggi ne esistono di altrettanti complessi seppur circoscritti a comunità minoritarie sparse su tutto il pianeta. Ma l’assenza di una famiglia tradizionale non è sempre sintomo della decomposizione sociale e, anzi, può essere un punto di riflessione per analizzare nel concreto diversi tipi di convivenze altrettanto armoniose eppure prive da ogni sintomo di disciminazione se rapportate al più comune mondo dell’uomo borghese.
Questo, in sintesi, il messaggio del documentario “Nel nome della madre”, che domani sera, a partire dalle 21, darà il via al Festival della Complessità al museo MAXXI. A Introdurranno la proiezione, Giovanna Melandri, Presidente della Fondazione MAXXI, e gli autori Pio d’Emilia e Francesca Rosati Freeman, oltre a Fulvio Forino, il direttore del Festival.
“Nel nome della madre” racconta la storia dei Moso, minoranza etnica di appena 40mila persone, che vive sparsa in vari villaggi nei pressi del lago Lugu, nel sud-est della Cina. Una società società matriarcale e matrilineare dove in famiglia il padre “biologico” non ha alcun ruolo ufficiale, nessun “diritto” ma anche nessun “dovere”; il ruolo “paterno” viene esercitato infatti dagli zii materni.
Il Festival della Complessità continuerà poi con altre due proiezioni: giovedì 15 maggio sarà la volta di “Inside Job” (USA, 2011) di Charles Ferguson, che verrà introdotto da Pino Moroni, giornalista economico, mentre il 22 maggio sarò la volta di “My Architect” (USA, 20013) di Nathaniel Kahn, che verrà presentato dallo psichiatra Sergio Boria.
Roma, 9 maggio