Roma, 28 ottobre 2013 – Forse a Cecilia Gimenez saranno fischiate le orecchie. Da oggi, sicuramente, la restauratrice più sciagurata e famosa del web, autrice del celeberrimo (suo malgrado) pastrocchio di fama mondiale di un “Ecce Homo” di Elias Garcia Martinez di duecento anni, avrà nuova compagnia nell’iperuranio degli artisti improvvisati. Compagnia dagli occhi a mandorla, per la precisione, in quanto il nuovo misfatto, segnalato da un’innocua foto di un curioso turista, ha messo alla berlina un’operazione di restauro che ha del tragicomico: gli affreschi nel tempio buddhista di Yunjie, risalente alla Dinastia Qing (1644-1911), mostravano i fisiologici e naturali segni dell’incuria e del tempo.
Tuttavia, due funzionari dei beni culturali cinesi hanno condotto il restauro rispettando pedissequamente il decalogo di tutto ciò che non bisogna fare durante una simile operazione, spendendosi in fretta e rivoluzionando l’opera. Il risultato? Un colpo mortale all’opera: la ditta appaltatrice ha consentito che i due dipingessero una serie di figure dai colori sgargianti, simili quasi a cartoni animati, direttamente sopra le immagini sacre, sbiadite da tre secoli di storia.
Tutto ciò è successo a Chaoyang, nella provincia nord-orientale del Liaoning, dove resistono insediamenti splendidi come il tempio Yunjie ed una pagoda del periodo Liao (916-1125). Dopo aver fotografato la “follia” cromatica, il fotografo ha immediatamente postato in rete l’istantanea che, facendo fede alla sua natura, ha fatto il giro del web in men che non si dica. Proprio quella di rivolgersi alla rete è divenuto, negli ultimi tempi, il metodo di denuncia più comune in Cina. Rivolgersi alle autorità, che ci crediate o no, è molto più rischioso. I due burocrati, autori dell’anacronistica opera, sono stati immediatamente licenziati, mentre il capo del partito per la zona ha ricevuto un ammonimento. Ma cadranno diverse altre teste, almeno secondo i giornali locali: dietro la la cancellazione dell’opera d’arte c’è una storia di ordinaria catena gerarchica cinese.
L’intero tempio aveva bisogno di interventi per circa seicentomila dollari. Per questo, l’abate buddhista si era rivolto all’ufficio responsabile per la zona di Yunjie; quest’ultimo aveva passato la pratica all’ufficio beni culturali di Chaoyang. L’ufficio aveva osservato che i lavori erano effettivamente necessari, ma senza rivolgersi all’autorità superiore (quella provinciale), la quale ora si dice ignara e sdegnata. La colletta delle offerte dei fedeli non aveva raccolto la cifra necessaria e così l’opera è stata affidata ad una ditta non qualificata (ma guarda un po’, eh?). Ed ecco il colpo di genio: al posto di restaurare gli affreschi, dipingiamoci sopra. A volte il genio non ha abbastanza spazio per esprimersi nella quotidianità ed allora diamo il via allo scempio. La ricostruzione della compagnia è questa, più o meno.
Li Haifeng, vice capo del governo di Chaoyang, ovviamente si chiama fuori: «Non sapevo nulla». Ora gli esperti provinciali del Liaoning dicono che gli affreschi originali potrebbero essere ripuliti dalle figure in stile cartone animato che li hanno completamente coperti, ma purtroppo non torneranno mai come prima. Li Zhanyang, archeologo, è furioso: «Le autorità di Chaoyang sono state rozze, irragionevoli ed ignoranti della legge, ma purtroppo incidenti del genere in Cina succedono almeno una volta l’anno». Un blogger ha commentato: «Il cervello di chi ha avuto questa idea dev’essere stato preso a calci da un somaro». Come dargli torto?