Roma, 20 novembre- Dall’indagine “A chi conviene l’Italia?”, elaborata dal Club dell’Economia in collaborazione con il Censis emerge l’amarezza degli italiani che non vedono nel proprio Paese le condizioni adatte per studiare e lavorare, ma ritengono che sia un posto ideale esclusivamente per le vacanze, con buona cucina e divertimento. L’indagine è stata presentata all’ Abi, in occasione del Premio Ezio Tarantelli per la migliore idea dell’anno 2012 in economia e finanza, assegnato all’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero e si basa su un campione statistico nazionale di 1.146 utenti.
Alla domanda “Riusciremo ad uscire dalla stagnazione?” il 49,3% risponde di no, il 50,7% invece è fiducioso. Se poi però si va più a fondo e si controllano le fasce di età per ognuna delle due risposte, si noterà come i più positivi siano i giovani sotto i 34 anni e gli ultrasessantacinquenni e questo, secondo il direttore del Censis Giuseppe Roma, perchè gli anziani sono i più sicuri in quanto più ricchi, mentre per i giovani domina la speranza.
Ma accanto all’incertezza regna il rancore per la classe dirigente, che si è appropriata del Paese senza restituire niente ai suoi cittadini e che, come osserva l’economista Mario Baldassarri, «è decisamente trasversale e quindi eternamente al potere, qualunque sia lo schieramento politico al governo, centrodestra, centrosinistra o tecnico».
Secondo quanto emerge dall’indagine, molti ritengono che ad avere una certa convenienza a vivere in Italia sono gli immigrati, per cui vi sono opportunità lavorative, mentre solo il 7 per cento ritiene che questo sia un Paese adatto per studiare, il 5,7 per cento per investire e il 5,2 per cento per lavorare. I fattori che minacciano la salute dell’Italia, oltre alla classe dirigente ingorda, sono l‘instabilità politica (15,3%) e l’invecchiamento della popolazione, che minaccia la sostenibilità del welfare (16,7%) e toglie spazio ai giovani, mentre la burocrazia rende impossibile lavorare (14,2%).
Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini osserva che «Non deve passare il messaggio che nulla cambia, altrimenti anche dall’estero continueranno a guardarci come un Paese dove nulla cambia» e precisa che «Ogni trimestre si fanno mezzo milione di contratti a tempo indeterminato, 1,7 milioni a tempo determinato e 70.000 di apprendistato». Le associazioni imprenditoriali chiedono maggiore flessibilità del lavoro, ma il ministro replica che in Italia sono poco tutelati coloro che perdono il lavoro e piuttosto sarebbe necessario cambiare il sistema nel suo complesso. Tra le varie proposte per migliorare la situazione lavorativa, Giovannini elenca maggiori investimenti, sia del settore pubblico che privato, sui giovani, un impegno diretto dei manager per abbattere il peso della burocrazia e un sostegno concreto per il cinque milioni di poveri “assoluti” nel settore sanitario, scolastico e lavorativo. Si tratta di un progetto che mira ad occuparsi di tutti i cittadini per rafforzare la coesione e in questo modo uscire dalla crisi.