Roma, 4 dicembre – Il MAE (Ministero degli Affari Esteri) va in soffitta. Da oggi nasce il MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale). Il Fatto Quotidiano pubblica in anteprima il testo di 32 articoli che attua la riforma del dicastero, con tanto di relazione tecnica ed il relativo quadro dei costi. Sul documento, praticamente, manca soltanto la firma che dia l’ok definitivo. Dalla Farnesina, invece, si fanno spallucce: non trapela alcunché e, anzi, alcune fonti della Direzione Generale sembra che prendano tempo, sostenendo che “allo stato non vi è un vero e proprio testo e che il progetto si trova adesso in una fase di concerto interministeriale, coordinata dalla Presidenza del Consiglio”.
Dunque, dopo diverso tempo tra annunci ed attese, il governo ha completato la stesura della legge quadro sulla cooperazione che, dopo 25 anni, riforma il settore dell’aiuto allo sviluppo. Non è soltanto la ragione sociale a mutare, bensì fra le novità apportate vi è anche l’istituzione di una nuova carica da vice-ministro. Dunque, nasce il nuovo “carrozzone” italico insieme ad un nuovo e generoso riconoscimento che andrà alle imprese a scopo di lucro, le quali potranno accedere a crediti agevolati e farsi finanziare dallo Stato il capitale di rischio su investimenti nei paesi in via di sviluppo. Nasce, dunque, la AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo). Sarà un ente con personalità giuridica, statuto e bilanci autonomi, che costerà almeno 26,6 milioni di euro all’anno tra spese di funzionamento e del personale ed avrà circa 450 dipendenti dislocati fra Roma e l’estero. La nuova sede del ministero (dovrebbe essere ricavata nelle palazzine ex Civis, site nei pressi del ministero per una superficie di 5.200 metri quadrati) costerà circa sette milioni di euro tra lavori di ristrutturazione ed adattamento. Tali somme andranno ad aggiungersi a quelli della DGCS (Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo) a cui la legge 49/1987 ha affidato per oltre un quarto di secolo compiti gestionali ed operativi che, ora, passeranno in buona parte all’agenzia costituenda. La DGCS, comunque, non andrà in soffitta. Anzi, tutt’altro.
Insieme alle altre novità, risalta proprio l’istituzione dell’AICS, la quale costituisce la vera novità della riforma. Essa sarà vigilata dal ministero e trova la sua giustificazione nella “possibilità di utilizzare strumenti finanziari innovativi senza sottostare ai vincoli delle norme pubblicistiche sui contratti, come recita la relazione che illustra la riforma. Tra le altre, potrà assumere personale competente secondo schemi privatistici e maggiore flessibilità di azione”.
Ed è proprio qui che, secondo il quotidiano, si fa sempre più rischioso il “fattore-carrozzone”. Infatti, lo rivelano le stesse cifre della relazione tecnica allegata alla legge. Il personale sarà distribuito in 257 dipendenti nella sede di Roma, mentre gli altri 192 saranno dislocati all’estero. Verranno, dunque, impegnati sette milioni di euro in più rispetto all’assetto attuale, facendo così lievitare a trenta milioni di euro il peso della voce “personale” sul totale del bilancio della cooperazione. Capirne il perché è semplice: la AICS, infatti, avrà un direttore generale che percepirà uno stipendio “parametrato” a quello del Primo Presidente della Corte di Cassazione. Ciò significa che l’uomo che guiderà la “macchina” degli aiuti ai paesi poveri alla fine dell’anno avrà in tasca ben 302 mila euro. Nell’organigramma dell’AICS, leggermente distanziati, vi saranno anche due dirigenti di prima fascia (stipendio da 299 mila euro) e ben diciotto da 131 mila euro.
E non è finita qui. Vi saranno altri 81 dipendenti alle aree funzionali, insieme a 56 profili di personale tecnico variamente inquadrato, i quali andranno dal dirigente di prima fascia (299 mila euro) a 12 di seconda (131 mila), sino alle 43 unità con stipendi da 44 mila euro. Dunque, se si vanno a sommare i maggiori oneri in spese per il personale a quelli di funzionamento (7,1 milioni di euro all’anno), la AICS finirà per produrre un costo aggiuntivo di 14,2 milioni di euro l’anno rispetto a quelli pre-riforma.