Roma, 5 gennaio- 30 anni. Sono passati 30 anni dall’omicidio di Pippo Fava, si presenta il tempo dei bilanci, del tirare le fila. Il tempo è sempre arido, tiranno quando si arriva a questo punto. Vorremmo poter dire che in 30 anni le cose sono cambiate, invece sono soltanto diverse. La mafia è evoluta come tutto il resto. Oggi la violenza è più selettiva, così come le minacce sono più velate. La mafia non vive più di pizzo, vive di appalti e nuovi business. Non ci sono più le stragi di stato e i segreti di stato, i politici sono diventati più furbi a nascondere le parole nelle parole. Eppure il “terzo livello” è rimasto lo stesso. Negli anni 80 Pippo Fava descriveva la mafia come una gerarchia fra “uccisori, pensatori e politici“. Un comune filo conduttore che, oggi come allora, unisce medici, magistrati, giornalisti, politici e forze dell’ordine, tutti uniti per occultare, sviare e proteggere il famoso “terzo livello“. Solo dieci anni fa è arrivata la condanna per gli esecutori materiali dell’omicidio di Pippo Fava, i mandanti in alto loco sono sempre rimasti nascosti, gli stessi arrestati non hanno pronunciato i loro nomi, sicuri di avere, anche in carcere, appoggio e protezioni da quei nomi. Cinque proiettili di una pistola calibro 7,65 hanno messo fine alla verità, o meglio alla ricerca della verità. Oggi ci sono metodi più semplici, che non trasformino “in eroi i traditori“, oggi c’è l’allontanamento, la diffamazione, lo scandalo. Si è detto tante volte che però oggi non si è più soli come all’ora, oggi c’è una rete di sostegno e di aiuto cittadino per chi lotta. Sarà sufficiente? Questa rete avrà la forza di abbattere il puzzo del compromesso morale, inebriandosi con un profumo di libertà?
di Elisa Bianchini